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Il talento fatto calciatore

  • Immagine del redattore: Massimo Volpato
    Massimo Volpato
  • 12 gen 2021
  • Tempo di lettura: 5 min

di Massimo Volpato



16 Maggio 2004 si sta giocando Milan-Brescia, i rossoneri stanno vincendo 4-2 e si stanno preparando a festeggiare il primo ed unico scudetto del Milan dei Meravigliosi di Ancelotti.

Minuto 39 del secondo tempo il Brescia fa un cambio e si alza il tabellone luminoso che indica che è il numero 10 delle rondinelle ad uscire. Tutto San Siro nello stesso istante si alza in piedi ed inizia una lunga standing ovation perché in quel preciso istante sta terminando la sua carriera uno dei giocatori più forti della storia del calcio italiano: Roberto Baggio.



Il destino ha voluto che l’ultima domenica da calciatore di Roberto Baggio, è stata a San Siro e contro il Milan che otto anni prima aveva vinto con lui uno scudetto. I tifosi rossoneri non si sono dimenticati di lui. E così, quando al minuto 39 del secondo tempo, l’allenatore De Biasi lo sostituisce, l’ovazione dello stadio è tutta per lui. I tifosi del Milan e quelli del Brescia sono tutti in piedi per applaudirlo. Baggio si toglie la fascia, abbraccia Paolo Maldini suo vecchio compagno di squadra e in nazionale e poi si avvia verso la panchina del Brescia. Con le braccia alzate al cielo, saluta tutti. Sarà la sua ultima volta. Da quel giorno, si dedicherà ad altro.



BAGGIO E IL MILAN

Silvio Berlusconi che in quegli anni domina il calciomercato , comprando tutto il meglio che c'era, ne era calcisticamente innamorato ma, nell’estate del 1990, il ragazzo era già promesso alla Juventus: “Ci sono delle montagne in mare che non si possono spostare”. La montagna è l’avvocato Gianni Agnelli e il mare di talento quello di Roberto Baggio.

Cinque anni dopo il Milan ha perso Marco Van Basten e lo ha sostituito con George Weah. C’è già Dejan Savicević in rosa, ecco allora che, come sarebbe accaduto più di dieci anni dopo con Ronaldinho passato al Milan per l’esplosione di Leo Messi, alla Juventus la crescita di Alessandro Del Piero non rende più necessaria la presenza a Torino di Roberto Baggio dopo cinque anni di militanza bianconera, con uno scudetto, una CoppaUefa e una Coppa Italia. Rapido giro di telefonate tra i dirigenti rossoneri e il procuratore, veloci cenni d’intesa e Roby è a Milano sponda rossonera. Lo voleva anche l’Inter, con Massimo Moratti che si rammarica per essere stato escluso dalla trattativa, ma Baggio accetta il corteggiamento del club che in quegli anni vinceva sempre, comunque e ovunque: il Milan.



La prima partita di campionato del Divin codino con i rossoneri si gioca a Padova il 27 agosto 1995, nel suo Veneto. Dieci mesi prima, nel campo patavino il Milan ha perso, ma in quell’agosto 1995 si respira aria nuova, aria frizzante, aria di talento che ricominciava a rifiorire. Questa volta il Milan vince e Baggio gioca, ma non segna. Ci penserà qualche settimana dopo a colmare questa lacuna, di testa, a quattro minuti dalla fine di un Milan-Udinese che sembra destinato a finire in pareggio. Ma grazie a Roby, il diavolo vince 2-1.

Il giornalista a bordo campo chiede al mister rossonero: “Scusi Fabio Capello, Baggio non stava giocando bene, perché lo ha tenuto in campo?” Pausa da attore consumato del Mister, sorrisino con occhiatina e Don Fabio sibila: “È proprio in queste partite che campioni come Baggio, da un momento all’altro, si inventano qualcosa…”. In gol ancora a San Siro il 24 settembre contro l’Atalanta poi Roby entra un po’ in difficoltà a partire dalla partita persa dal Milan a Bari il 1° ottobre 1995. Assente nei big match contro Inter e Juventus, in un Milan di talento in cui non è semplice trovare spazio, anche campioni come Zvonimir Boban, Marco Simone e Paolo Di Canio chiedono e pretendono spazio.



Roby rifiorisce in inverno quando tiene a battesimo in Serie A con i suoi tiri Gigi Buffon a Parma, segna a Firenze, fa una gran bella gara a San Siro contro la Sampdoria e guida l’attacco rossonero nelle settimane in cui Weah è in Coppa d’Africa. Le perle primaverili di Baggio sono la splendida gara giocata e vinta 3-0 da lui e il Genio Savicevic contro il Parma, per non parlare del gol Scudetto segnato proprio alla Fiorentina. La sue migliori gare europee restano quelle di San Siro in Coppa Uefa contro Strasburgo e Bordeaux, in una esperienza europea poca fortunata per la squadra rossonera.

Dopo la partenza di Capello, arriva dal Cagliari il maestro uruguagio Oscar Washington Tábarez, che lo vuole riportare al centro del progetto.



Ma tra infortuni, sfortuna, polemiche e l’abbandono di Tábarez riporta Arrigo Sacchi a Milanello e con lui i problemi di convivenza già vissuti nella cavalcata mondiale di USA ’94. Come previsto per il giocatore vicentino lo spazio si riduce e la stagione si conclude all’11 posto con il Milan fuori da ogni competizione molto presto. L’estate 1997 ritorna a furor di popolo alla guida del Milan Fabio Capello, Roberto da persona intelligente capisce che la sua esperienza in rossonero si sta esaurendo e va in Emilia, a Bologna, dopo esser stato rifiutato da Ancelotti allora allenatore del Parma, dove gioca una stagione di altissimo livello e si guadagna la convocazione per il suo ultimo mondiale Francia ‘98.




SIAMO ANCORA QUA

E dopo tanti anni, come canta Vasco Rossi, “e siamo ancora qua” a scrivere di Roberto Baggio. A ricordarci dei suoi 253 gol in campionato realizzati con sette maglie diverse (Vicenza, Fiorentina, Juventus, Milan, Bologna, Inter e Brescia) in venti anni di carriera e del Pallone d’Oro vinto nel 1993. Oppure della sua conversione al buddhismo. O ancora di quel drammatico passaggio dalla Fiorentina alla Juventus nell’estate del 1990 che scatenò l’inferno per le strade di Firenze. Ma ci ricordiamo anche e soprattutto di tante sue meravigliose giocate, come quella del San Paolo contro il Napoli, ai tempi della Fiorentina, quando sotto gli occhi di Maradona, scartò mezza squadra avversaria compreso il portiere per entrare in porta con il pallone ai piedi. Proprio come aveva fatto Diego al mondiale messicano qualche anno prima. Oppure il meraviglioso gol con cui nel settembre 88, in maglia viola, abbatte il Milan di Sacchi a San Siro. O ancora, questa volta con la maglia della nazionale ai mondiali del 1998, di quel tiro uscito di un niente nei quarti di Finale persi poi ai rigori contro la Francia. Se quel tiro fosse entrato, la storia di quel mondiale sarebbe stata sicuramente diversa. Ci ricorderemo anche del suo (cattivo) rapporto con molti allenatori da Capello a Sacchi per finire a Carletto Ancelotti che non lo volle al Parma per poi pentirsene qualche anno dopo. Non sarà così per un altro grande Carletto del calcio italiano, Carlo Mazzone, che invece lo vuole fortissimamente alla sua corte quando allena il Brescia. E Baggio a Brescia resterà per quattro anni, chiudendo lì la sua meravigliosa carriera. Fino a quel minuto 39 di domenica 16 maggio 2004. Oggi, a distanza di anni, in tanti si chiedono ancora se mai nel calcio italiano, si rivedrà uno così. Sono gli stessi che danno ragione a Cesare Cremonini.

"Da quando Baggio non gioca più, non è domenica."


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