di Massimo Volpato
Brasiliano, oriundo, ma anche un giocatore molto tecnico, quarto marcatore rossonero di tutti i tempi e nonostante abbia legato il suo nome ad uno dei momenti più belli della lunga storia milanista, il rapporto tra Josè Altafini e il Milan è sempre stato di amore e odio.
Il buon Josè ha iniziato a fare gol fin da giovanissimo, nella squadra brasiliana del Palmeiras. In Brasile lo hanno soprannominato ‘Mazola’, con una z solo, per via della somiglianza con Valentino Mazzola, il leader del Grande Torino. In Italia si fa notare in un’amichevole tra la Fiorentina e il Brasile. Gipo Viani allora allenatore rossonero ne rimane folgorato dalla sua tecnica e dalla sua facilità a fare gol. Prima dei mondiali in Svezia, che la Selecao vince incantando, il Milan riesce ad acquistarlo. Anche ai mondiali svedesi Altafini mette in mostra il suo talento e il bomber carioca gioca 3 gare e segna 2 reti. Attaccante dal buon fisico, potente ma nello stesso tempo rapido e veloce, ha delle ottime doti tecniche, ma soprattutto un grande, grandissimo, fiuto del gol.
«E’ stato amore a prima vista, il Milan ce l’ho nel sangue. Io venivo da un altro mondo e ho incontrato persone stupende: grandi dirigenti, tecnici di grido, un’organizzazione fantastica». (J. Altafini)
Josè Altafini nasce a Piracicaba il 24 luglio 1938, arriva al Milan nel 1958 e l’impatto col campionato italiano è devastante: con 28 gol segnati in campionato e trascina il Milan alla conquista del suo settimo scudetto. A questi gol dobbiamo aggiungere anche i quattro realizzati in coppa Italia, che fanno un totale di 32 gol in 36 partite, una media pazzesca per un ventenne, peraltro proveniente da un altro continente e per tutti i tifosi rossoneri diviene l’erede naturale del “pompierone” svedese Nordahl. All’inizio fu dura battere la nostalgia per il Brasile, ma Josè è forte e allegro, e si fa sedurre dalla vita notturna milanese. Gipo Viani nel frattempo inizia a pedinare il bell’Altafini dedito e lo scova in un night milanese, e da quella sera rapporto tra i due divenne invivibile. Altafini si nasconde dietro un divanetto, Viani lo vede e va via, da allora lo chiama “Coniglio”, ferendo nell’orgoglio il giocatore brasiliano.
Più che coniglio in campo Altafini si dimostra un leone, e malgrado i dissapori con l’allenatore continua a segnare con regolarità nel campionato italiano: 28 gol nella stagione 1959/60 ma il Milan arriva solo terzo e in Coppa Campioni è eliminato dal Barcellona. E 26 in quella 1960/61. Siamo nell’epoca degli oriundi, e grazie alle sue origini italiane (e ad un bel po’ di milioni) diventa italiano e viene convocato in Nazionale. Purtroppo la sua esperienza in Nazionale non è fortunatissima e coincide con il disastro dei mondiali in Cile nel ’62 che pone prematuramente fine alla sua avventura azzurra. Josè rimpiange questa scelta, in quanto gli impedisce di vincere altri 2 titoli mondiali con la nazionale verde-oro.
Il 1961 è anno della svolta: è l’ultima stagione agonistica di Liedholm e la prima di Rivera in rossonero, il Milan arriva secondo ma Altafini segna altri 26 gol. Ma al Milan continuano i conflitti tra il centravanti e Viani, che vorrebbe cacciarlo ma l’arrivo di Nereo Rocco mette Altafini tra gli incedibili.
«E’ un coniglio», tuona Viani; «Monade» ribatte Rocco: «El sè xe un gran zogador».
Nereo Rocco, come sempre, ha visto giusto, e il 1961/62 diventa trionfale. Altafini trascina il Milan: ormai temutissimo in tutt’Italia, il bomber è un centravanti indomabile che conosce l’area di rigore come pochi. E’ furbo, è lesto, ha tecnica e arguzia, rapidità, fiuto, potenza. Nordhal è un bisonte che sfondava le difese con la forza, non aveva un piede di velluto; al tempo stesso, Rivera è un raffinato genio del pallone, ma non possiede la prestanza di un centravanti vero. Altafini ha entrambi: spada e fioretto. Con 22 reti permette al Milan di rivincere lo scudetto e tornare in Coppa dei Campioni. E l’Europa segna la consacrazione del fuoriclasse di Piracicaba.
I rossoneri, prima di arrivare in finale, superano nell’ordine l’Union Luxemburg, l’Ipswich Town , il Galatasaray ed il Dundee Utd, ed il suo fuoriclasse brasiliano mette insieme un bottino di ben 12 reti. Nella sfida decisiva di Wembley, contro il Benfica di Eusebio, Josè si erge ad assoluto protagonista della manifestazione.
«Ciò, Josè, el ga razon Gipo, ti sè un conejo» (N. Rocco)
La finalissima è l’apice di una carriera. Il Milan va sotto e gioca male: nell’intervallo il Paron prova a scuotere l’orgoglio dei suoi e di Altafini, anche con parole dure. Nella ripresa capitan Cesare Maldini si prende l’autorità di cambiare le marcature assegnate ai suoi compagni dal Paron: le panchine troppo lontane non permettono l’interagire tra tecnico e giocatori, così il Capitano diventa l’allenatore in campo. In quella finale vanno in vantaggio i lusitani con Eusebio, e poi nella ripresa Altafini ribalta tutto.
La lunga cavalcata verso Costa Pereira durante la seconda marcatura, resta nella storia di quella finale, il portiere del Benfica respinge il primo tiro, ma Altafini è lesto a insaccare la ribattuta.
Grazie ai 14 gol complessivi realizzati, il “Mazola” brasiliano stabilisce il record assoluto di reti realizzate da un giocatore in Coppa dei Campioni, primato a tutt’oggi ancora imbattuto.
«Al Milan devo tutto. Forse altrove avrei guadagnato di più, ma questa è una società che mi ha permesso di vincere 2 scudetti e una Coppa Campioni, che mi ha insegnato tutto». (J. Altafini)
La “fabbrica del gol” prosegue anche nella stagione successiva (19 in totale), ma stavolta il Milan resta a secco di trofei, anche a causa dello scippo della coppa Intercontinentale ad opera del Santos del suo amico Pelè e soprattutto dell’arbitro brasiliano Brozzi. Altafini è ormai l’idolo incontrastato del popolo rossonero, e proprio per questo cerca di monetizzare la sua privilegiata condizione. Il presidente Felice Riva rinvia continuamente il rinnovo del contratto di Josè e le discussioni con Gipo Viani continuano, anche perché il Paron dopo la finale di Wembley ha preso la strada di Torino, sponda granata. Stanco di questa situazione, all’inizio della stagione 1964/65 Altafini decide di restare in Brasile e si allena col Palmeiras, ma dopo qualche mese chiede di rientrare al Milan. Gipo Viani non molla fino a quando il presidente (a febbraio) decide di accontentarlo e lo reintegra in rosa. Nel frattempo, il Milan capolista, allenato da Liedholm, marcia come un treno e dopo 19 partite ha ben 7 punti di vantaggio sull’Inter. Altafini ritorna dal Brasile senza un briciolo di preparazione e si presenta al pubblico di San Siro per la partita col Vicenza: i rossoneri perdono l’imbattibilità e da lì comincia un crollo senza fine che porterà i rossoneri a perdere quello scudetto ai danni dei cugini nerazzurri. Altafini segna solo 3 gol in 12 partite, ma soprattutto quella circostanza porta alla definitiva rottura del rapporto tra il bomber brasiliano ed il club di via Turati. Dopo 7 stagioni, 246 partite ufficiali e ben 161 reti, Altafini ed il Milan si separano definitivamente. Per il nostro eroe, tuttavia, la vita calcistica alla perenne ricerca del “gollasso” continua, prima col Napoli (7 stagioni) e poi con la Juventus (4 stagioni) si permette il lusso di segnare altri 96 gol nella massima serie e di conquistare altri due scudetti (entrambi con i bianconeri). Gioca in serie A fino a 38 anni, segna sempre e non fa sconti a nessuno, neanche alle sue ex-squadre, come quella volta che all’ultima giornata del campionato ’73 segna a Roma uno dei due gol che costarono la Stella al “suo” Milan, o come quella volta (campionato 1974/75) che segna a pochi minuti dalla fine dello scontro diretto il gol del 2-1 che costò lo scudetto al “suo” Napoli, diventando per tutti “Josè core ‘ngrato”. Stagioni piene di gol, dal fiuto incredibile, se lui Avesse avuto la possibilità di commentare le sue imprese calcistiche a partire da quella di Wembley, avrebbe sicuramente detto: “Incredibile amisci, che gollasso”.
Per quanto molto controverso come personaggio rimarrà per sempre impresso nella nostra storia rossonera. Incredibile Josè.
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