di Massimo Volpato
Oggi ho l’onore d’intervistare un grande giocatore del Milan anni settanta: Giorgio Biasiolo. Per lui 8 stagioni in rossonero, dal 1970 al 1978, 215 presenze e 17 gol.
Qui sotto la nostra chiacchierata.
Buongiorno Signo Biasiolo, la ringrazio per la disponibilità che mi ha concesso. Innanzitutto in questo tempo di Pandemia come sta?
“Ciao Massimo, grazie per l’opportunità di concedere a voi di Ribalta Rossonera una mia intervista. Io sto molto bene, non ho problemi particolari, per fortuna non ho contratto il Covid e ho completato il ciclo vaccinale. Quindi direi tutto bene”
Ci racconti i suoi inizi nella nostra terra veneta?
“Ho iniziato a 12 anni a giocare nelle giovanili della polisportiva Garcia Moreno, poi sono passato al Montecchio, Arzignano e poi il passaggio al Marzotto in serie C. poi a 22 anni il grande salto nel Lanerossi Vicenza dove ho giocato per due anni prima di andare al Milan.”
Dopo due ottime stagioni al Vicenza il grande salto al Milan. Che emozioni ha vissuto?
“Io sono arrivato nel 1970 al Milan. In quegli anni era una grossa società e molto vincente. Esaudivo un mio sogno essendo tifoso rossonero. Che dire è stata una emozione fortissima, molto grande che è difficile da spiegare.”
Rispetto alle nostre città venete, Milano è una metropoli, come ha fatto ad ambientarsi? Qualcuno lo ha aiutato?
“Mi ero appena sposato, all’inizio ero solo e abbiamo preso a casa a Sesto San Giovanni vicino ad una mia cugina. Perché i ritiri e le trasferte erano lunghe, con una cugina vicino a noi mia moglie poteva sentirsi meno sola.”
Lei arriva al Milan nel 1970, solo l’anno prima diventava Campione del Mondo nella famosa doppia sfida con l’Estudiantes. Qual è il segreto per entrare in un gruppo formidabile come quello?
“Il segreto è il rispetto, per i ragazzi, per il gruppo e per le sue regole. Non ci sono altri segreti se non l’ascolto e il rispetto. Io poi cercavo di giocare bene e lo facevo con molta passione, perché a me fondamentalmente interessava giocare”
Qualche rimpianto per essere arrivato un po’ tardi al Milan?
“Direi nessun rimpianto, perché dal 1970 al 1973 siamo arrivati sempre secondi in campionato, ho vinto tre Coppe Italia e una Coppa delle Coppe contro il Leeds a Salonicco e perso un’altra finale la stagione seguente contro il Magdenburgo. Poi ho giocato assieme a dei grandi giocatori. Quindi direi nessun rimpianto”
Con quali compagni dell’epoca ha legato maggiormente? Con qualcuno è ancora in contatto a tanti anni di distanza?
“Onestamente due/tre volte sento molti dei miei ex compagni. Sono ancora in contatto con Rivera, Romeo Benetti, Bigon, Albertosi, Egidio Calloni, Golin, Tato Sabadini, la famiglia Anquiletti soprattutto con William il figlio, Vecchi e anche con Prati finchè è rimasto con noi. Poi anche se non ho giocato con loro sono in contatto con Malatrasi e Lodetti. Sono talmente tanti che spero di non essermi dimenticato nemmeno uno perché non vorrei mancare di rispetto a qualcuno. Ti dirò Massimo con le tecnologie di adesso e facile rimanere in contatto, perché abbiamo formato un gruppo su una chat whatsapp tra noi. ”
Segue ancora il calcio attuale? E si rivede in qualche giocatore attuale?
“Certo che lo seguo ancora, la passione c’è sempre, anche se è un calcio diverso dal mio. Ti dirò ho smesso di allenare lo scorso giugno perché ora con il covid è difficile, praticamente non si allena più. Però sono ancora dentro al mondo calcistico della beneficienza. Per anni ho giocato nelle partite di beneficienza organizzate da Angelo Anquiletti, ora non gioco più per via dell’età ma faccio il loro allenatore e vengono sempre Silvano Villa, mi sono dimenticato prima altro ragazzo con cui sono ancora in contatto, Golin, finchè ha potuto Pierino Prati, ecco con Pierino andavamo spesso a trovare i Milan Club. Ora nelle partite di beneficienza abbiamo coinvolto anche Angelo Colombo, indimenticato giocatore del Milan di Sacchi, Luigi Beghetto, Daniele Fortunato e altri.
Per risponderti se mi rivedo in qualcun altro, ti dico di no, non mi rivedo in nessuno”
Lei giocava a centrocampo, negli anni come è cambiato il calcio?
“Mah il calcio è sempre quello, io giocavo dietro e coprivo il calciatore di talento, spesso Rivera. Come dicevo è solo cambiato il modo di schierare i giocatori. Ma il calcio è molto più semplice di quello che si pensa.”
Tornando a lei, una partita o una finale giocata in rossonero a cui è maggiormente legato?
“A livello di finali forse la Coppa Italia del 1973 vinta ai rigori contro la Juventus, arrivavamo dalla sconfitta di Verona e quella vittoria in Coppa ha avuto un sapore di rivalsa per la grande delusione vissuta quel pomeriggio.
Invece la partita del cuore è quella giocata il 18 febbraio 1973, segnai il definitivo 2-2 a cinque minuti dalla fine a Dino Zoff in rovesciata, nella partita contro la Juventus.”
In quegli anni settanta dopo la gloria il Milan entra in un cono d’ombra, diversi passaggi di proprietà, Buticchi, Duina fino a Colombo. Famoso l’episodio tra Buticchi e Rivera per il famoso scambio con Claudio Sala. Di fatto il calciatore riesce a mandare via il presidente. Come ha vissuto quel periodo?
“Senza entrare nello specifico, non era una grande situazione, e abbiamo vissuto male quel periodo. Ad aggravare tutto in quegli anni si faceva fatica a vincere, e la nota vicenda Buticchi – Rivera è stata una brutta cosa e portava poca serenità nel giocare le partite, anche se nel 1975 arrivammo in finale di Coppa Italia persa con la Fiorentina. Brutto periodo, poi arrivò Duina ma non era un presidente”
Lei ha avuto come allenatori al Milan, Rocco, C. Maldini, Trapattoni, Giagnoni, Marchioro e Liedholm. Avrebbe voglia di definirli con un aggettivo?
“Partiamo dal Paron Rocco, lui per noi era un Papà, ci aiutava moltissimo e per noi questo era molto importante. Soprattutto lo ascoltavamo sempre, riusciva a catturare la nostra attenzione.
Cesare Maldini direi un amico, siamo rimasti sempre in contatto finchè anche lui è mancato. Grandissima persona, grandissima famiglia.
Trapattoni, un perfezionista non lasciava mai nulla al caso. In campo era di un pignolo esagerato.
Giagnoni, un bravo ragazzo ma purtroppo non era un allenatore da Milan.
Marchioro, semplicemente un presuntuoso e ci fermiamo qui.
Liedholm, l’ho avuto molto poco, quindi sono in difficoltà a definirlo con un aggettivo.”
Se a mio papà chiedo di parlarmi della Fatal Verona del 1973, si rifiuta di parlare di quel pomeriggio, un po’ come per me della Fatal Verona del 1990 o di Istanbul 2005. In lei il ricordo di quel assurdo pomeriggio cosa suscita.
“Sinceramente solo rabbia, nel senso che io non giocai quella partita perché ero infortunato, mi fratturai la caviglia nella semifinale di ritorno di Coppa delle Coppe e saltai il finale di stagione, però ripeto ho provato rabbia. Poi ci fu la polemica del giorno di recupero non concesso, anche se Buticchi disse che non serviva perché tanto il Verona era già salvo, aggiungo anche delusione perché Verona era veramente rossonera quel giorno”
Ho fatto questa domanda a tutti, mi racconti un aneddoto simpatico tra lei ed il paron Rocco.
“Era il mio primo anno al Milan, eravamo a Genova per la finale di coppa Italia contro il Torino. In quei giorni nasce il mio primo figlio e offro delle bottiglie di Champagne per festeggiare con i ragazzi. Rocco giocava a carte e una bottiglia arriva anche nel suo tavolo. Più tardi io e Zignoli eravamo in camera nostra, con una bottiglia chiusa sopra al comodino. Ribadisco chiusa. Entra Rocco guarda la bottiglia e sgrida Zignoli “Se domani perdiamo rimani a casa per tutto l’anno”. Ecco questo è il Paron, non era mai diretto, io avevo ben capito che il messaggio era rivolto a me e non a Zignoli”.
Ritorno nel personale, cosa voleva dire per lei giocare a calcio con la maglia del Milan?
“Per me giocare a calcio con la maglia del Milan è stata la cosa più bella del mondo. Da Milanista era tutto per me, poter giocare con Rivera avere come allenatore Cesare Maldini e Rocco che per me erano degli autentici idoli è stato il coronamento di un sogno”
Chiudo con l’ultima domanda, che consiglio si sentirebbe di dare ai giovani calciatori di adesso?
“Di giocare con passione, di ascoltare i consigli e di non mollare mai ma d’insistere perché i sogni a volte si avverano”
Questa è stata la nostra chiacchierata, per me molto emozionante. Essendo entrambi veneti, io di Treviso, Giorgio di Vicenza, la cosa magari per noi puo' essere scontata ma è la nostra lunga chiacchierata per attraversare tutta la carriera in rossonero di Giorgio è stata fatta in italiano e nel nostro dialetto. Ringrazio come sempre la disponibilità di Giorgio, e la sorella Elisa, un autentico signore ed un vero autentico tifoso rossonero.
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