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Immagine del redattoreMassimo Volpato

L’ATTACCANTE CHE VIENE DALL’EST

di Massimo Volpato



“Giocatore fortissimo fisicamente, veloce, rapido nel dribbling. È in possesso di fantasia, calcia bene con entrambi i piedi, fa gol, forte nel gioco di testa. Gioca su tutto il fronte d’attacco, sa chiamare la profondità come pochi giocatori. Considerando la sua giovane età sono rimasto impressionato per la sua facilità di gioco. È un giocatore emergente. Superfluo aggiungere altro: E’ DA MILAN” (I. Galbiati)


Quello che avete appena letto è il rapporto fatto da Italo Galbiati, per il Milan presente al Camp Nou il 5 novembre 1997 in occasione della partita di Champions League tra il Barcellona e la Dinamo Kiev. Il protagonista del rapporto è un certo Andriy Shevchenko, numero 10 degli ospiti e stella nascente del calcio ucraino, protagonista del sonoro 4-0 rifilato ai blaugrana. Un dettaglio per chi non se lo ricorda, il giocatore ucraino segna una tripletta in quella partita.

Ed è in quella sera che il Milan si innamora follemente dell'attaccante ucraino. Quasi due anni più tardi Berlusconi da il via libera a Galliani per strappare l'ucraino alla Dinamo Kiev investendo circa 25 milioni di dollari.

La sera del 15 giugno 1999 Andriy Shevchenko sbarca all’aeroporto della Malpensa per iniziare la sua avventura in rossonero, e ad attenderlo ci sono il direttore generale rossonero, Ariedo Braida, un interprete, qualche giornalista, pochi curiosi che passavano lì per caso ed una discreta dose di scetticismo mescolata con l’indifferenza.

Però la realtà è diversa perché quando il Milan versa nelle casse della Dinamo Kiev i 25 milioni di dollari pur di anticipare, già a maggio e prima dell’apertura della finestra estiva di calciomercato, una nutrita concorrenza, lo fa con la convinzione di chi conosce alla perfezione il giocatore.



“L’idea di prenderlo c’era già da tempo, lo voleva Fabio Capello già un anno prima che arrivassi. Lo fecero seguire per molto tempo e poi un giorno Berlusconi mi chiamò per dirmi che a Wembley si giocava Dinamo Kiev-Arsenal. Mi chiese di fare una relazione sul ragazzo, mi mise a disposizione anche il suo aereo personale. Vidi un giocatore che copriva tutto il campo, che aveva qualità da attaccante, ma anche tanta corsa. Era un ragazzo che giocava per la squadra. Sulla relazione scrissi ‘Assolutamente da prendere’”. (A. Zaccheroni)


E così dopo aver segnato 60 reti in 117 partite con la squadra della capitale ucraina, inizia l’avventura rossonera dello Zar. Esordisce nel campionato italiano il 21 agosto 1999 nella finale Supercoppa Italiana persa contro il Parma per 2-1 e 10 giorni dopo in campionato, in trasferta contro il Lecce ed ovviamente timbra il cartellino dei marcatori, la prima volta di una lunga serie.

Il ragazzo ha qualità e caratteristiche semplicemente uniche, più che pronto non per il campionato italiano, ma anche per scrivere pagine di storia in rossonero.


“E’ stato il mio maestro di calcio, tutto è cominciato da lui, mi ha dato tantissimo. In ritiro ci allenavamo tre volte al giorno. Sveglia alle sei e primo allenamento alle sette. Poi colazione e subito secondo allenamento”. (A. Shevchenko)


Cresciuto sotto lo guida di Valeriy Lobanovskyi, una leggenda della panchina ucraina, che proprio in lui ha visto un talento da plasmare. Lobanovskyi è sopranominato il ‘Colonello’ perché effettivamente è un colonnello dell'Armata Rossa, ma calcisticamente parlando perché i suoi metodi di allenamento sono durissimi.


“Era con noi da poco e nel giorno delle ripetute, mentre a fine allenamento stavamo tutti tornando negli spogliatoi, venne da me e mi chiese ‘Ma quando iniziano gli allenamenti?’ Pensavo scherzasse, ma era serio. Quando uscii di nuovo lo vidi ancora in campo ad allenarsi”. (A. Costacurta)


Il primo Sheva del Milan è quindi non solo un calciatore estremamente completo, ma una miscela di tecnica e forza. Sa usare il piede destro ed il piede sinistro, calcia punizioni e rigori. Secondo miglior marcatore della nostra storia con 175 gol in 322 partite ed un palmares che dice: 1 scudetto, 1 Coppa Italia, 1 Supercoppa Italiana, 1 Champions League e 1 Supercoppa Europea.

Shevchenko chiude la sua prima stagione in Serie A con 24 goal realizzati che gli valgono il titolo di capocannoniere, ed è il secondo straniero dopo Platini a vincere la classifica dei marcatori al primo anno nel campionato italiano.

La stagione successiva, 2000-2001, riesce a confermarsi: segna altri 24 goal in campionato (saranno 34 quelli complessivi in 51 partite) ma la stagione del Milan è un’annata non positiva che culmina con l’esonero di Zaccheroni, dopo l’eliminazione dalla Champions League.



Sheva è ormai un big del calcio mondiale e quando l’estate del 2001 viene acquistato dalla Juventus, Filippo Inzaghi, c’è molta curiosità negli addetti ed in noi tifosi nel vedere cosa possono fare insieme questi due grandi rapaci del gol. In realtà all’inizio faticano ad intendersi e la squadra allenata da Fatih Terim è incostante e vive di troppi alti e bassi. C’è la sensazione che anche questa stagione possa essere avara di soddisfazioni. Ma il 5 novembre 2001 la società, dopo la sconfitta di Torino, decide di esonerare il tecnico turco e affidare la panchina a Carlo Ancelotti, che piano piano inizia a gettare le basi per un altro ciclo straordinario, denominato dei meravigliosi, con Sheva assoluto protagonista.

La stagione 2002-2003 inizia male per il campione ucraino. Perché per la prima volta deve affrontare, gestire e convivere con un infortunio, precisamente al ginocchio, che lo costringe ad un lungo stop. Ancelotti, per sopperire alla sua assenza, inventa il sistema ad ‘Albero di Natale’ che preve Rivaldo e Rui Costa a supporto di Inzaghi. L’esperimento funziona, la squadra viaggia ad un’ottima andatura, ma quando Shevchenko ritorna a disposizione, il tecnico di Reggiolo non ci pensa due volte a tornare alle due punte. Purtroppo i goal in campionato sono solo 5, ma la stagione in realtà è trionfale, e lui è l’attore principale.



La sera del 23 maggio 2003 è la sua sera, Milan e Juventus gioca la finale di Champions league. È la sua prima delle due finali che il giocatore dell’est gioca nella manifestazione europea. La partita contro i bianconeri dura 120 minuti, e il punteggio è ancora sullo zero a zero. Così saranno i rigori a decretare chi tra le due squadre alzerà la coppa dalle grandi orecchie al cielo.

Per il Milan segnano Serginho e Nesta, mentre sbagliano Seedorf e Kaladze, Dida ne para 3 ai giocatori bianconeri e precisamente a Trezeguet, Zalayeta e Montero. Il Milan è ad un passo dalla gloria immortale, Sheva è pronto a prendersi la responsabilità del tiro più importante, quello che può cambiare una carriera, quello per cui ci si allena per una vita. Le telecamere incrociano gli occhi di Sheva, sono occhi freddi, lucidi, concentrati sull’obiettivo.

L’ucraino sa già cosa deve fare, e noi guardando quegli occhi sapevamo già che non avrebbe fallito. Il numero sette in maglia bianca guarda una volta a destra, una volta a sinistra, parte calcia e spiazza Buffon, portiere a sinistra pallone a destra.





Il Milan è campione d’Europa, il giocatore ucraino corre ad abbracciare Nelson Dida, l’altro eroe dei rigori.


“Era la mia prima finale, la partita più importante della mia carriera. In quei dodici secondi che ho impiegato per arrivare dal centrocampo al dischetto, ho pensato a tutta la mia vita. Ho capito che il sogno che avevo fin da bambino stava per realizzarsi, già avevo pensato a come tirare. Ho sentito il fischio, sono partito e tutto è andato come avevo immaginato”.


Nel 2003 è il grande assente a Manchester a vincere il pallone d’oro: Nedved.


Ma nel 2004 non c’è storia, l’ambito premio di France Football lo vince proprio lui, anche se non completa il trittico internazionale perché i rossoneri perdono la finale mondiale ai rigori contro il Boca Juniors.

Se l’annata precedente, è la più complicata e allo stesso modo la più importante, per via dell’infortunio al ginocchio, in quella successiva è implacabile fin dalla prima partita. Su assist di Rui Costa segna contro il Porto il goal che vale il trionfo in Supercoppa Europea, poi fino a dicembre, quando viene incoronato miglior giocatore Europeo alzando il Pallone d’oro, per dodici volte trova la via della rete in un campionato che chiude da capocannoniere e da campione d’Italia.


“Per me fu l’anno perfetto. Con l’Ucraina difficilmente avevo la possibilità di giocare Europei e Mondiali. La squadra era forte, ma tante volte siamo stati sfortunati negli spareggi. Quell’anno invece giocammo grandissime partite ed eravamo primi nel nostro girone di qualificazione ai Mondiali. Il Milan già mi aiutava tantissimo, perché era una vetrina mondiale. Era il club più importante di tutti, mi permetteva di competere per la Champions, per il campionato ed avevamo una squadra che giocava un calcio pazzesco e che aveva moltissimi campioni. Mi mancava il supporto della Nazionale, ma quell’anno arrivò”. (A. Shevchenko)



Andryi Shevchenko, è il quinto campione della storia del Milan a vincere un Pallone d’Oro dopo Rivera, Gullit, Van Basten (tre volte) e Weah, e il popolo rossonero riserva il giusto omaggio al campione ucraino con una standing ovation prima di Milan-Lecce con uno striscione.

“Il tuo trionfo è il nostro orgoglio... Sheva re d'Europa”.



Passano gli anni, dopo aver vinto molto arriva anche qualche sconfitta, come quella dolorosa di Istanbul. La ferita fa fatica a rimarginarsi, ed il ragazzo con il tempo diventa uomo, decide di lasciare il Milan e di trasferirsi al Chelsea. Ma in Inghilterra le cose non vanno come devono. In due annate con i blues segna 22 gol in 77 partite. Una miseria a chi è abituato a segnare almeno 30 gol stagionali.

Nell’estate del 2008 decide di tornare a Milano per provare a ritrovarsi, ma il ritorno nel club che ha contribuito a fare di lui uno dei più grandi attaccanti della storia, si trasforma nel peggior modo possibile per salutarsi: nessun goal in diciotto presenze in campionato, uno in Coppa Italia ed un altro in Coppa UEFA. Troppo poco perché solo pochi anni prima faceva tremare le difese di tutte il mondo.

Shevchenko chiude la sua carriera dove tutto è iniziato a Kiev nella sua Dinamo e all’ombra della statua di Lobanovskyi. Quella stessa statua sulla quale anni prima aveva appoggiato, per rendere omaggio al suo maestro, il trofeo della Champions League prima ed il Pallone d’Oro poi. Le due gemme più preziose raccolte nel corso del suo lungo cammino nel mondo del calcio.


Caro Usignolo dell’Est, io ti ho vissuto in età adulta e come dimenticare le innumerevoli volte che ho esultato per un tuo gol, come dimenticare i gol nei derby, soprattutto quelli europei, quello segnato alla Juve il 9 novembre 2001, io ero allo stadio e mi piace pensare che quel gol era voluto. Da adolescente il mio idolo era Marco Van Basten, da uomo sei stato tu il mio eroe.


“Palla buona per Shevchenko, Shevchenko, Shevchenkooo, rete!!! Uno a zero per il Milan.” (telecronista Tele più)


"Non e' brasiliano pero' che gol che fa' il fenomeno lascialo la' qui c'è sheva ....lalalalala"

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