di Massimo Volpato
Fin da piccolo mi hanno sempre insegnato che il lavoro, la dedizione l’umiltà, e la serietà sono valori importanti e che con essi potevi raggiungere i tuoi obiettivi. Ecco queste quattro parole, lavoro, dedizione, umiltà e serietà nella storia del Milan c’è un giocatore che le ha rappresentate nel miglior modo possibile: Mauro Tassotti.
Quando arriva a Milano ha una capigliatura che lo fa sembrare uno dei Jackson Five di fine anni settanta, ma nessuno si sarebbe mai immaginato che la sua storia d’amore con il Milan sarebbe stata lunga oltre trent’anni. Anche perché quando arriva a Milano, non è accompagnato dalla fama del ragazzo dal gran talento.
Al contrario, Tassotti è catalogato come un giocatore rude e cattivo, del terzino aggressivo che spesso eccedeva nei contrasti ai limiti del regolamento. Ma è qui che si vede la grandezza di Mauro perché nella sua carriera è stato protagonista di una trasformazione tecnica e tattica che raramente si vede ancora oggi. Eh sì perché nei primi anni 80 il numero 2 è quello preposto alla marcatura della seconda punta avversaria e non certo a correre lungo la fascia a quello ci doveva pensare il terzino sinistro. E Mauro Tassotti sembra incarnare alla perfezione quel ruolo di marcatore spigoloso. Talmente ruvido che dovette subire una serie di polemiche ed accuse quando in un derby dei primi anni Ottanta, con una entrata un po’ scomposta, con la suola dello scarpino andò contro la faccia dell’interista Lele Oriali, procurandogli una ferita che necessitò di una trentina di punti di sutura.
"Fu Liedholm a cambiarmi, a scoprire le mie potenzialità, soprattutto con il gioco a zona e una serie lunghissima di allenamenti specifici per migliorare la mia tecnica individuale". (M. Tassotti)
Ma a Mauro, a differenza di altri, non andava fiero di quella fama da duro ed anzi con dedizione, umiltà e serietà inizia ad allenarsi per liberarsi per sempre di quella antipatica etichetta che gli hanno appiccicato addosso, anche perché non coincide con il suo carattere timido ed educato. Ed allora succede quello che non t’aspetti, e cioè che il brutto anatroccolo si trasforma in uno stupendo cigno, e che dall’incontro con Nils Liedholm nasce la prima vera evoluzione del terzino destro moderno, perfetto esecutore dei segreti che governano la linea difensiva del modulo a zona.
E allenamento dopo allenamento, il Barone svedese scopre che quei piedi sono in grado di trattare il pallone in maniera sopraffina, e che, uniti alle doti difensive che non sono mai mancate al ragazzo romano, ha fatto nascere uno dei calciatori più completi della storia in quel ruolo. Per fare questo, Liedholm finito l’allenamento di squadra, si ferma con Mauro ed assieme passano le ore a fare palleggi e lavoro contro il muro.
Ed allora, per descriverne la grandezza, per tutti divenne il nuovo “Djalma Santos”, e cioè l’erede del terzino della nazionale brasiliana campione del mondo del ’58 e del ’62.
Nato nel quartiere romano di San Basilio, Tassotti è cresciuto ed ha esordito in serie A con la Lazio appena diciottenne, e con i biancocelesti poco dopo ha vissuto la vicenda del calcio scommesse: fu lì che i destini del “Tasso” e quelli del Milan si incrociano. Siamo nel 1980 e il presidente della Lazio, Umberto Lenzini, si è già accordato per il trasferimento di Bruno Giordano in rossonero nella stagione seguente. Ma la retrocessione di entrambe le squadre per il calcio scommesse cambia le carte in tavola. Il presidente del Milan Felice Colombo ha già anticipato del denaro alla squadra romana per il trasferimento del giocatore laziale, così per far quadrare i conti del due club in quella famosa estate del 1980 i rossoneri danno alla Lazio Stefano Chiodi e Albertino Bigon, mentre Tassotti fa il viaggio inverso e prende la strada per Milano. Nasce così una storia infinita.
"All'inizio facemmo fatica ma soltanto perché non eravamo abituati ai suoi allenamenti. Sacchi era un giovane allenatore e ha rivoluzionato il calcio italiano. In quei tempi sono stato molti anni in camera con Maldini. Arrigo voleva che i calciatori dello stesso ruolo stessero in camera insieme. Prima di dormire infatti passava a darci gli ultimi dettami tattici e ci voleva insieme". (M. Tassotti)
Dell’evoluzione del giocatore dai tempi di Giacomini, Radice e Castagner a quelli di Liedholm abbiamo già detto, ma quello che non abbiamo detto è che ciò che Mauro aveva assimilato in quegli anni, soprattutto con Liddas, fu propedeutico per quello che sarebbe successo di lì a poco.
Berlusconi decide di affidare la rinascita del suo Milan ad Arrigo Sacchi, e l’omino di Fusignano pensa di affidare al suo pupillo parmense Mussi il ruolo di esterno destro.
Tassotti fa come ha sempre fatto, e con umiltà, lavoro e l’applicazione (parola tanto cara ad Arrigo) ci mette poco a far vedere al nuovo tecnico che “zio Liddas” gli ha lasciato in eredità il miglior interprete possibile in quella zona del campo. Assieme a Franco Baresi, Filippo Galli e Paolo Maldini dà vita ad una linea difensiva da urlo; con Costacurta al posto di Filippo Galli perché infortunato, nasce invece, la a difensiva a quattro più forte della storia del calcio moderno.
"Vincemmo tanto e furono anni stupendi. Giocare in quel Milan per me è stato come toccare il cielo con un dito". (M. Tassotti)
Una linea di quattro uomini dai sincronismi perfetti che diviene ben presto un vero incubo per tutti gli attacchi d’Italia, d’Europa e del Mondo. Quel Milan passa alla storia per la nuova mentalità vincente che nessuna squadra italiana ha mai fatto vedere prima e per un gioco spettacolare costantemente votato alla ricerca del gol e della vittoria, ma è indubbio che fu proprio l’equilibrio e la solidità della fase difensiva la sua arma in più. Tutti gli attaccanti rossoneri di quegli anni beneficiarono dei perfetti tempi d’inserimento del Tasso e dei suoi cross arcuati e precisi, in primis l’astro nascente Marco Van Basten, uno che ha imparato a conoscere alla perfezione le sue giocate.
Anche se all’inizio il rapporto con il giocatore olandese non è idilliaco, ma dopo un duro confronto i due diventano amici, tanto da essere compagni ancora oggi sempre su un campo verde ma di golf, autentica passione di entrambi.
"Il primo anno, racconta il centravanti olandese nella sua autobiografia, 'Fragile', mi sono trovato ad affrontarlo in allenamento, era un duello sul filo del rasoio. A un certo momento mi sono così irritato che gli ho mollato un pestone, che lui ha subito ricambiato. Il clima era arroventato, dopo un po’ ci siamo trovati faccia a faccia con i pugni serrati, pronti a colpire. Sacchi ci ha spediti entrambi negli spogliatoi a sbollire la rabbia".
"Dopo un po’ che eravamo lì seduti, su quelle panche di legno, - prosegue Van Basten - ci siamo guardati in faccia e siamo scoppiati a ridere all’istante. Ci rendemmo conto di quanto fosse stata comica la situazione, eravamo due teste calde, due esaltati, e potevamo dircelo a vicenda".
E da quella amicizia sbocciata sulle rigide panche dello spogliatoio di Milanello sono nati anche alcuni dei gol più belli ed importanti dell’attaccante olandese come il gol dell’1-1 della semifinale d’andata di Madrid del 1989, il gol del 1-0 contro il Malines ai tempi supplementari nella Coppa dei Campioni del 1990, il gol del 2-0 nella finale di Barcellona contro lo Steaua nel trionfo dell’89: assist di “Djalma Tasso” e gol del divino Marco Van Basten. Ma questi sono solo alcuni degli innumerevoli “contributi” di Tassotti alla causa rossonera. Il destino spesso ha teso degli agguati alla vita di Mauro come la malattia dell’amatissima moglie Antonella, ma, seppure in piccolo rispetto ai drammi della vita, un giorno il destino ha deciso di fargli un regalo straordinario: niente di paragonabile a quello che gli aveva sottratto, ma pur sempre il sogno di ogni calciatore.
Nella semifinale di Champions del 1994 contro il Monaco Franco Baresi già in diffida viene ammonito. Un cartellino giallo che costa la finale al Capitano rossonero nonché amico fraterno di Mauro. Questa squalifica ha permesso a Tassotti di essere lui il capitano del Milan nella finale di Atene contro il Barcellona: tocca a Mauro ricevere in consegna e sollevare al cielo da capitano la Coppa dei Campioni più inattesa e più bella della nostra gloriosa storia internazionale. Il giusto e meritato premio per la fedeltà dimostrata ai nostri colori. Siamo già nell’era Capello, altro tecnico che non rinuncia mai alla serietà ed all’intelligenza tattica di Mauro, almeno fino a quando il “vecchio proprietario” di quella fascia decide di passare le consegne ai più giovani e Christian Panucci ne prova a raccogliere l’eredità. Il 12 maggio 1996, dopo aver conquistato il suo 5° Scudetto con il Milan con un incredibile 7-1 alla Cremonese, è portato in trionfo dai compagni a San Siro. Idealmente è il suo saluto da giocatore ai tifosi, anche se 'Il Tasso' gioca ancora una stagione, non particolarmente felice per lui e per la squadra.
Chiude a 37 anni, dopo 17 stagioni in rossonero, 583 presenze e 10 goal e una bacheca personale da far rabbrividire: Cinque Scudetti, quattro Supercoppe italiana, tre Coppe Campioni, due Supercoppe europee e due Intercontinentali.
Ma la storia del Tasso e del Milan non finisce in quel Maggio del ’97, la storia è proseguita e come che è continuata. Dapprima mettendo a disposizione dei giovani le conoscenze maturate sui campi di tutto il mondo (vincendo tra l’altro 2 tornei di Viareggio), e poi affiancando i tecnici della prima squadra in un rapporto che però è sempre stato paritetico, perché Tassotti conosce tutto del Milan e di Milanello, anche gli angoli che potrebbero sembrare più nascosti. Vederlo seduto in panchina al fianco del suo grande amico Ancelotti nel grande ciclo “dei Meravigliosi” per noi tifosi è sempre stato rassicurante, ed ancora di più lo è stato vedere che la società ha deciso di affidargli il “tutoraggio” dei giovani allenatori che negli ultimi anni della gestione Berlusconi si sono succeduti alla guida del Milan.
Il Milan ha un patrimonio di vittorie e, soprattutto, di valori che si è costruito negli anni, che va sfruttato e che non deve andare disperso: Mauro Tassotti quei valori li incarna tutti, ad uno ad uno.
Lui è una Bandiera vera, uno di quelli che guardi ed ascolti e ti rendi conto che vorresti non ti lasciasse mai, perché lo si percepisce chiaramente che è uno che ti ha dato tutto quel che ti poteva dare senza egoismi e senza anteporre i propri interessi personali a quelli dell’intera famiglia milanista.
“Dopo trentasei anni lasci il Milan, io so che ti mancherà, ma tu mancherai ancora ancora di più a questo grande club” (P. Maldini)
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