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Marcel Desailly, la diga rossonera

di Alessandro Maggi





La vita del signor Abbey è un mistero. Certamente, sul finire degli anni ’60, era uno dei due milioni e passa di ghanesi che affollava le vie polverose di Accra, la capitale del paese. Era un uomo di costituzione robusta, che probabilmente lavorava nelle fabbriche di legno compensato della città, che la sera spendeva qualche pesewa al mercato, prima di fare ritorno a casa in tro-tro. Casa, o più probabilmente, una delle sue case. Perchè per ancora 50 anni la poligamia sarebbe stata legale in Ghana, e il signor Abbey di mogli, e figli, ne aveva davvero tanti.


Anche la prima infanzia di Odonkey Abbey, uno dei figli del signore in questione, è avvolta nel mistero. Una cosa, ancora una volta, è però certa: Elizabeth Addy, la quinta moglie di quella numerosa famiglia, nel 1970 dice basta. Lascia il Ghana, si trasferisce in Francia, e porta con sé il piccolo Odonkey. Lo farà grazie al supporto, e all’amore, del console francese di stanza ad Akkra. Il suo nome era Marcel Louis Desailly. E pochi anni dopo, il piccolo Odonkey Abbey, verrà registrato a Nantes con il nome del fresco patrigno. Ovvero, come Marcel Desailly. Per tutti, semplicemente, la «diga rossonera». E qui, da mistero, la storia si fa gloria.


Marcel Desailly non ha bisogno di grandi presentazioni. In carriera ha vinto due scudetti, un titolo francese (poi revocato), due Champions League, due supercoppe Uefa. Ex primatista di presenze, e capitano, della nazionale francese, ha conquistato un Mondiale, un Europeo e due Confederation Cup, venendo inserito da Pelé nel Fifa 100 e da Golden Foot nelle “Leggende del Calcio”. Cresciuto nelle giovanili del Nantes, ha vestito le maglie di Olympique Marsiglia, Chelsea, Al-Gharafa e Qatar, ma di fatto lega la sua carriera al Milan, con cui mise insieme 158 presenze tra il 1993 e il 1998. Tutto questo, per impulso del fratello Seth Adonkor, scomparso troppo presto, a soli 23 anni.


Milan, ovviamente. Nell’ottobre del 1993 Adriano Galliani e Ariedo Braida lo portano in Italia dal morente Olympique per 10.5 miliardi di vecchie lire. E’ un difensore, centrale. Lo è stato nel club, lo sarà per sempre anche in Nazionale. Ma per i dirigenti del Milan è qualcosa di diverso. E’ quel che prima di lui fu Frank Rijkaard, e che dopo di lui saranno Massimo Ambrosini e Rino Gattuso. E’ il lottatore di centrocampo, l’interditore, la diga appunto. Al fianco del regista, Demetrio Albertini.



Pare un azzardo, sarà invece il primo di una lunga serie di centrocampisti di quantità in grado di fare la differenza in numerose zone del campo. Ovviamente, i dirigenti lavorano su impulso di uno dei grandi allenatori della storia del Milan, Fabio Capello. Marcel deve giocare a centrocampo, e lo farà anche il 18 maggio 1994, in finale con il Barcellona ad Atene. Non ci sono Franco Baresi e Alessandro Costacurta, e sul fronte d’attacco avverso gravitano Romario e Stoichkov, ovvero il miglior giocatore, e il miglior marcatore, del Mondiale che poche settimane dopo andrà in scena negli Stati Uniti.


Ma no, Marcel resta a centrocampo, in difesa Paolo Maldini si sposta al centro al fianco di Filippo Galli e sulla sinistra si sistema il giovane Christian Panucci. Il resto è storia, come quel minuto 54. Anticipo sulla trequarti, triangolo stretto con Albertini, controllo in corsa e destro a girare sotto l’incrocio. Travolgendo tutto e tutti. Come sempre.


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