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PEPE ROSSONERO

di Massimo Volpato




Scrive di lui Gianni Brera: “Forse non è mai esistito regista di tanto valore. Schiaffino pareva nascondere torce elettriche nei piedi. Illuminava e inventava gioco con la semplicità che è propria dei grandi. Aveva innato il senso geometrico, trovava la posizione quasi d’istinto.” Chi ha avuto la fortuna di vederlo giocare dal vivo ha ammirato un calciatore immenso, un interno sinistro con una tecnica sopraffina che si trasforma poi in regista dalla visione di gioco notevole e dall’intelligenza tattica eccezionale, dote che gli permette di capire con anticipo l’evolversi dell’azione e di passare il pallone al compagno meglio piazzato. Gioca la palla sempre a testa alta e si muove in campo in punta di piedi. Quando Schiaffino arriva in Italia, nella stagione 1954/55, un giornale di Montevideo titola “Il Dio del pallone ci ha lasciato. Una perdita irreparabile”. Perché Pepe Schiaffino (il nomignolo gli è stato dato dalla madre per via del suo carattere “peperino” fin da bambino) è diventato una leggenda del suo Paese in quanto è stato il protagonista principale del “El Maracanazo”, cioè quello che viene ricordato come il “colpo gobbo” più clamoroso della storia del calcio.

È il 1950 ed in Brasile si disputa la fase finale dei Campionati Mondiali di Calcio, i padroni di casa brasiliani sono i grandi favoriti per la vittoria finale, e tutto sembra andare secondo i pronostici fino all’ultima partita di quel torneo, che si disputa il 16 luglio 1950 al Maracanà di Rio de Janeiro davanti a 200.000 tifosi.



Brasile-Uruguay non è la finale, perché in quella edizione la formula è quella del girone all’italiana che dà il titolo alla prima classificata. Non è una finale, ma di fatto lo è. È l’ultima partita e al Brasile basta un pareggio per diventare campione, mentre l’Uruguay è costretto a vincere ad ogni costo per far suo il titolo continentale. I tifosi carioca si aspettano solo di vincere, nessuno pensa ad un altro risultato che non sia la vittoria, nemmeno i dirigenti uruguagi ripongono molte chance nella vittoria finale. Le cose effettivamente si mettono subito bene per i verdeoro: segna Friaca, e tutto il Brasile è in delirio ed iniziano a festeggiare. Nessuno, però, ha fatto i conti con l’orgoglio dei giocatori della “celeste”.

Trascinati da uno Schiaffino incontenibile, l’Uruguay prima pareggia con lo stesso Schiaffino e poi vince 2-1 con un gol di Ghiggia su assist sempre del Pepe. Per l’Uruguay è il secondo titolo mondiale, per il Brasile un vero dramma: quella notte vennero certificati 34 suicidi e 56 attacchi cardiaci. Tenta di suicidarsi persino uno dei difensori del Brasile, Danilo. Schiaffino è l’idolo incontrastato di una nazione e la sua grandezza si tramanda fino ai giorni nostri, al punto che qualche anno fa è stato nominato come il più grande giocatore della storia dell’Uruguay.

Il Pepe uruguagio fa grandi cose con la sua nazionale anche nei Mondiali successivi, quelli di Svizzera 1954: guida la sua nazione fino alla semifinale persa sfortunatamente contro la Grande Ungheria, e nonostante la mancata vittoria è nominato il miglior giocatore di quel torneo. In quegli anni Schiaffino gioca in patria, con la maglia del Penarol, la squadra più prestigiosa del paese con cui conquista 5 titoli in nove stagioni. Alla vigilia dell’edizione dei mondiali elvetici, Juan Alberto si fa convincere dai milioni del presidente milanista Rizzoli, che lo acquista per l’importante cifra di 100.000 dollari. Da quel momento diventa il perno attorno al quale ruota un grande Milan, capace di vincere molto, trascinato dal suo “regista” italo-uruguaiano.



Nato a Montevideo il 28 luglio 1925, è originario della Liguria della costa a Est di Genova proviene il nonno paterno, un macellaio emigrato verso l’America del Sud agli inizi del Novecento, come tanti italiani in quell’epoca.

Alberto Schiaffino ha sempre avuto uno “spirito ligure”: è molto parsimonioso, per rendere meglio l’idea della sua “voglia di risparmio” memorabile è quel che accadde proprio a Genova, prima di una partita a Marassi tra il Milan e il Genoa. Un sabato pomeriggio di vigilia, Pepe, Nordhal e Liedholm fanno quattro passi distensivi lungo il mare, c’è vento è fa molto freddo, Liedholm suggerisce: «Perché non prendiamo un caffé?». Nordahl e Schiaffino approvano la proposta dello svedese, ma, all’ingresso del bar Pepe viene colto da un atroce dubbio e chiede: «Paga la società, vero?». Deludente la risposta di Nordahl: «No, Pepe. In questo caso ciascuno paga di suo». Estremo dribbling dell’uruguaiano più genovese dei genovesi: «Vi aspetto fuori, il caffé mi rende nervoso». Il giocatore sudamericano si è sempre dimostrato abile nel gestire molto bene i suoi guadagni facendo numerosi affari soprattutto nel campo dell’immobiliare.

Per il suo carattere spigoloso, burbero ed introverso, Juan tende a fare di testa sua e a dire quel che pensa. Quest’ultima cosa gli procura molti fastidi, squalifiche e rapporti tesi, soprattutto con compagni e allenatori: memorabili le litigate con Gipo Viani.

Quando Schiaffino arriva in Italia ha già 29 anni, ed a Montevideo pensano di aver dato via un giocatore già in fase calante.

Questo è un errore clamoroso, perché non solo Schiaffino gioca un mondiale eccezionale, ma disputa con la maglia del Milan sei stagioni da grandissimo protagonista insieme ai vari Liedholm, Gren, Nordhal, Cesare Maldini ed Altafini.

Al suo debutto (1954/55) l’italo-uruguagio vince subito lo scudetto (il quinto per il Milan) e si dimostra anche molto prolifico sotto porta, realizza 15 reti in 27 presenze. Anche nella stagione successiva la media realizzativa è altissima (16 reti in 29 gare) ed in quella 1956/57 in cui coi suoi 9 gol contribuisce alla conquista del sesto scudetto milanista ed è anche tra i protagonisti della conquista della prestigiosa Coppa Latina, una lontana parente della futura Coppa Campioni.



Nel 1957/58 sfiora con il Milan la conquista della prima Coppa dei Campioni, la finale si gioca all’Heysel di Bruxelles contro il grande Real Madrid di Di Stefano, Gento, e i rossoneri sono sconfitti per 3 a 2 dopo i tempi supplementari. Nonostante la sconfitta Pepe brillò in campo più del mitico Di Stefano, segna il gol che sblocca la partita al 60’, poco dopo la “saetta Rubia” Di Stefano pareggia, ma il Milan ha ancora la forza di andare in vantaggio con Ernesto Grillo, ma i blancos pareggiano poco dopo con Rial. Per la prima volta nella storia della coppa campioni non sono bastati i novanta minuti regolamentari per decidere la squadra vincitrice. La sfida è decisa al 107 minuto da Gento autore di un gol su carambola con la difesa rossonera che non riesce ad evitare che il pallone lentamente entri in porta.

Le conquiste proseguono anche la stagione successiva, quando vince il suo terzo scudetto (l’ultimo) con la maglia del Milan. Finisce la sua esperienza in rossonero l’anno successivo (stagione 59/60), quando all’età di 35 anni e dopo sei stagioni da mattatore decide di trasferirsi alla Roma di Bernardini dove rimane per due campionati, giocando da libero e non più a centrocampo e vincendo la Coppa delle Fiere.



Prima di andare via dal Milan designa il suo successore nel giovane sedicenne di Alessandria: Gianni Rivera. La leggenda vuole che quando Gipo Viani prova a convincere il presidente del Milan Rizzoli ad investire una certa cifra per acquistare il giovane talento Rivera, al telefono gli abbia detto“Presidente, allo stadio di Alessandria c’era la nebbia e non si capiva chi era Schiaffino e chi Rivera!”. Bastano queste parole a convincere lo scettico Rizzoli al sacrificio economico: il nome di Schiaffino non lo si pronuncia mai per scherzare, e quelle parole valgono più di ogni referenza!


Nel 1962 Schiaffino appende le scarpe al chiodo e torna in Uruguay e prova ad allenare, carriera intrapresa senza troppa convinzione e chiusa molto in fretta. Decide così di dedicarsi alla gestione dei suoi affari ed alla sua vita familiare insieme alla sua inseparabile moglie Angelica, che ha conosciuto nel 1942 su un autobus a Montevideo. La loro è un’esistenza felice, e quando nel nel 2002 la moglie lo lascia per sempre, lui pensa di seguirla nell’al di là qualche mese dopo: il 13 novembre del 2002 si spense a causa di un male incurabile. All’annuncio della sua dipartita il mondo calcistico dimostra di non essersi scordato di lui: in Uruguay l’annuncio fu sottolineato con l’espressione “Gloria de nuestro futbol, protagonista del Maracanazo. El adiòs a un grande, se fue Schiaffino”. In Italia il Milan lo ricorda con tutti gli onori del caso, ed il pubblico di San Siro in una sera di Champions League Milan Deportivo La Coruna lo saluta nello stesso modo in cui lo aveva sempre “coccolato”: con un lungo ed interminabile applauso.

E lo scrittore uruguaiano Eduardo Galeano lo ricorda così: “Con i suoi passaggi magistrali organizzava il gioco della squadra come se stesse osservando il campo dal punto più alto della torre dello stadio.”

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