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Immagine del redattoreMassimo Volpato

PROFESSIONE STOPPER

di Massimo Volpato



Quando da piccolo sentivo nominare il soprannome “Faccia d’Angelo” il mio pensiero correva immediatamente a cose tristi, perché da noi in Veneto quel soprannome è sinonimo di mafia, droga e morte. Ma poi attraverso i racconti rossoneri di mio padre quel nomignolo l’ho conosciuto anche sotto un’altra luce. Perché in quelle affascinanti storie rossonere, con cui sono cresciuto, quel soprannome prende delle sembianze totalmente diverse e cambia anche nome e cognome, così ho imparato a conoscere uno dei più grandi difensori della storia del Milan: Roberto Rosato.

Come si sa l'Italia viene riconosciuta come patria di alcuni tra i più grandi difensori della storia del calcio mondiale. Molti dei nomi che possono venire in mente in tale contesto sono autentiche leggende del nostro calcio, Franco Baresi, Paolo Maldini, il padre Cesare, Alessandro Nesta e appunto Roberto Rosato solo per restare nell’ambito rossonero.




Roberto è un difensore solido e deciso, può essere identificato come un autentico "mastino", in grado di attaccarsi con puntiglio alla punta avversaria, lasciandogli idealmente davvero pochi palloni giocabili.

L’impostazione da centromediano ricevuta nei primi anni di carriera gli ha insegnato a marcare sia a uomo che a zona, e inoltre gli ha permesso di apprendere la tattica del fuorigioco; Roberto è stato uno dei primissimi esempi di stopper in grado di impostare il gioco dalle retrovie. Nonostante ciò, nel corso della sua carriera si fece soprattutto notare per le sue doti di marcatore. La cosa da sottolineare è l’eleganza e la classe con cui interpreta il ruolo: marcatore arcigno con eccezionali doti atletiche che però raramente faceva ricorso al fallo per fermare l’avversario diretto, e già in giovane età si fa conoscere da più di un attaccante per forza fisica e la predisposizione ad usare tecniche di marcatura talvolta davvero molto spicce.



Tuttavia Rosato non è ricordato come un difensore falloso o provocatore, non eccedendo mai anche nel caso di duelli molto accesi.


“La prima squadra è come il primo amore, non si scorda mai. E la mia prima squadra è stata il Torino. Ma col Milan ho vinto tanto, uno scudetto e un'altra dozzina di trofei, tutti successi indimenticabili.“ (R. Rosato) Ma è con il Milan che trascorre la parte più importante e vincente della sua lunga carriera. Dopo sei stagioni granata e l’esperienza dei Mondiali d’Inghilterra, dove gioca titolare contro Cile ed Urss, nell’estate del 1966 il presidente rossonero Carraro riesce a battere la concorrenza e portarlo in rossonero per una cifra di 400 milioni di lire, che per l’epoca non sono proprio pochi.


Al suo primo anno in rossonero trova il neo allenatore rossonero Silvestri, però è con l’arrivo del Paron Rocco, tecnico che lo ha già avuto a Torino e per cui Rosato ha una vera e propria dedizione, che “il Martello di Amburgo” (soprannome ricevuto per la meravigliosa prestazione in occasione del suo esordio in nazionale) conosce la sua definitiva consacrazione e diventa difensore di statura internazionale. In sette stagioni rossonere vince tutto, ma soprattutto è protagonista assoluto in alcune delle partite più importanti della nostra storia entrate di diritto nella leggenda.





Come non ricordare il doppio match contro il Manchester in Coppa Campioni nel 1969 e la Battaglia della Bombonera, dove è protagonista della vittoria mondiale.

Assieme a Cudicini, Anquilletti, Schnellinger e Trapattoni forma uno dei reparti difensivi più forti di sempre, e molti sono i fuoriclasse dell’epoca che non conosceranno scampo contro la sua arcigna marcatura. Una vittoria dopo l’altra, uno scalpo dopo l’altro, però la sensazione è che non sia mai riuscito quando è giocatore, a godersi fino in fondo queste grandi vittorie, impegnato “a superare quell’insicurezza che mi faceva costantemente pensare di non essere all’altezza del mio compito”. Ma per fortuna i suoi compagni, allenatori ed i vari commissari tecnici della nazionale hanno capito che è il miglior stopper in circolazione.




Il momento più alto della sua carriera lo raggiunge ai Mondiali di calcio del 1970 disputati in Messico, quella esperienza che lui definisce come “i 40 giorni più belli della mia vita, i più esaltanti”.

All’inizio dell’avventura messicana è il terzo stopper della rosa, e nelle gerarchie dell’allora Ct Valcareggi viene dopo Niccolai e Puja. Ma come succede spesso in queste manifestazioni bisogna saper cogliere il Carpe diem e grazie all’infortunio del titolare cagliaritano nella prima partita contro la Svezia si ritrova negli undici titolari in campo e non esce più dalla formazione titolare. La sua avventura, come quella della squadra è esaltante, ed a sancire la qualità eccelsa delle sue prestazioni è confermato dal fatto che Roberto Rosato è l’unico giocatore italiano ad essere inserito nella formazione ideale di quella edizione di Messico ’70. Il suo giudizio è stato dato all’unanimità: il miglior stopper del torneo iridato.





La memoria storica di mio padre mi ricorda che in tanti sottolineano che il capocannoniere del torneo, il tedesco Gerd Muller, riesce a segnare due gol in semifinale agli azzurri solo ai supplementari e solo dopo che il difensore rossonero ha abbandonato il terreno di gioco per infortunio. Ha avuto un guaio muscolare a metà ripresa, infortunio che si è procurato dopo che ha salvato in spaccata sulla linea di porta un tiro destinato a battere Albertosi. Fino a quel momento la partita del centravanti tedesco è stata anonima perché di palloni giocabili l’attaccante teutonico ne ha ricevuti molto pochi, praticamente un numero vicino allo zero. La partecipazione a quei mondiali è il coronamento di un periodo bellissimo, cominciato con lo scudetto nel 1968. Nello stesso anno alza al cielo la Coppa delle Coppe e conquista il titolo Europeo con la Nazionale nel 1968. Nel torneo europeo non gioca la semifinale contro l'URSS, ma scende in campo nella doppia finale contro la Jugoslavia, regalando prestazioni solide al cospetto di campioni quali Dragan Džajić, Vahdin Musemic ed Idriz Hosic. Quei magnifici anni continuano con la vittoria della Coppa dei Campioni e la Coppa Intercontinentale nel 1969 (vincerà un’altra Coppa delle Coppe nel ’73). Nella finale di Madrid, Rosato ha il compito di marcare l’astro nascente olandese, il giovane Johan Cruijff, prossimo a dominare il calcio europeo negli anni a venire. Ma in quella partita tra i due il duello lo vince lo stopper rossonero Il percorso si completa con la vittoria in Coppa Intercontinentale, dove il Milan ha la meglio nel duro doppio confronto contro l'Estudiantes, passato alla storia per le vere e proprie aggressioni attuate dai giocatori argentini contro gli avversari rossoneri. Nella finale di Coppa Italia 1971/1972, lo stopper rossonero va anche in gol, segnando il definitivo 2-0 al Napoli: per il difensore si tratta di evento abbastanza raro, dato che segnerà solo 15 reti in tutta la sua carriera, su un totale di 527 partite ufficiali con i club.

“Diciamo pure che la palla è rotonda, ma diciamo anche che rotola sempre dalla stessa parte”. (G. Rivera)



Il suo cammino rossonero è fantastico, sempre al fianco del Paron Rocco e del suo “gemello” Gianni Rivera, col quale curiosamente condivide la regione d’origine: il Piemonte. Roberto è nato a Chieri mentre il buon Gianni ad Alessandria e tra le due città ci sono solo 70 chilometri che le dividono, ma la cosa incredibile è che entrambi sono nati il 18 agosto 1943.



Dopo l’enorme delusione della Fatal Verona, dove non senza polemiche il Milan perde lo scudetto della stella, famose sono le proteste e le polemiche del suo gemello Rivera, Rosato insieme a Rocco nell’estate del ’73 decide che la sua avventura in rossonero è chiusa (269 gare ed 8 gol) mentre la sua esperienza in nazionale termina nel 1972, con 37 presenze complessive, dimostrandosi sempre un difensore affidabile anche per la grande esperienza maturata. Dopo l’addio al suo amato Milan, accetta la proposta del Genoa, dove gioca quattro stagioni con la solita grinta e professionalità prima di appendere gli scarpini al chiodo nel 1979 dopo due stagioni al’Aosta in serie D. Ma il suo è un addio definitivo, perché dopo il ritiro decide che quel mondo che ha vissuto non è più fa più per lui. Lui è un uomo tutto d’un pezzo, sia in campo che fuori, gli è sempre piaciuto mettere al servizio dei più giovani il suo sapere calcistico ma il fatto di non essere legato a nessun carrozzone, ma semplicemente fedele a se stesso lo ha penalizzato, e dato ragione al suo pensiero, il mondo del calcio e il suo modo di vivere facevano a cazzotti. Ma nonostante la lunga assenza dalla ribalta calcistica, nessuno si è mai dimenticato di lui, anche quando “l’avversario più ostico della sua vita” ha deciso di portarlo via da tutti i suoi tifosi rossoneri. Ma per tutti è ancora uno dei più grandi stopper italiani di tutti i tempi! Ciao Roberto, io non ti ho visto giocare perché tu andavi via dal mio Milan e io nascevo, ma vivi ancora nei ricordi dei tuoi tifosi come mio padre.





Permettetemi di ringraziare il figlio Davide per avermi concesso il permesso di scrivere e per il prezioso contributo alla stesura di questo articolo. Inoltre per le meravigliose foto che mi ha inoltrato. Grazie Davide.

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