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Immagine del redattoreMassimo Volpato

THE SHARK

di Massimo Volpato



Molti hanno sentito il suo nome riecheggiare distrattamente nella storia del nostro club, come il nome di un giocatore che per un paio di stagioni ha semplicemente vestito la casacca rossonera. Per molti, compreso io, invece è stato un autentico idolo, il mio primo poster appeso in camera sopra il letto. L’uomo che molti tifosi hanno amato sin dal primo giorno ed in lui hanno riposto le speranze di riscossa di un popolo ferito dalla retrocessione in serie B, e come disse Prisco: Gratis.

Joe Jordan arriva all’aeroporto di Linate, accolto da un migliaio di tifosi e da uno sventolio di bandiere rossonere, sciarpe e di incoraggiamento.



È il 3 luglio ’81, e il giocatore scozzese sembra commosso e sorpreso per l’accoglienza. I tifosi gli mostrano uno striscione: “Welcome, Big Joe.

La storia ci dice che il suo ingaggio è stato un ripiego dopo la pessima figura rimediata in Brasile dai dirigenti rossoneri, soprattutto da Rivera che si è recato personalmente nel paese sudamericano, nell’affare Zico e la rinuncia del belga Coulemans, la legenda su questa trattativa vuole che è stata la volontà della madre a far saltare il trasferimento ma in realtà le due parti non si sono messe d’accordo a livello economico. Invece la trattativa con il Manchester United, squadra proprietaria del cartellino del giocatore scozzese, è veloce 700 milioni di lire al club inglese e 500 milioni d’ingaggio per il giocatore. Il Milan è reduce da un’annata nel purgatorio della serie B, condannato a giocare nei campi di periferia della serie cadetta in seguito allo scandalo del calcioscommesse. Jordan per il tifoso milanista rappresenta il fiore all’occhiello del nuovo Milan guidato da Gigi Radice, il bomber a cui aggrapparsi per tornare a rivedere la luce e il calcio che conta dopo una stagione vissuta nel buio più totale.


“Ho pochi denti ma basteranno per azzannare l’Inter” (J. Jordan)



L‘entusiasmo milanista che lo aveva accolto sin da subito diventa un tripudio, grazie ad un gol in un derby “estivo” di coppa Italia il 6 settembre del 1981. Le due squadre milanesi sono inserite, assieme a Spal e Verona, nello stesso girone, e proprio nell’ultima gara il derby è importante per definire il passaggio del turno. Quando al 49’ Jordan porta in vantaggio (2-1) il Milan con una incornata prepotente, l’esultanza dei tifosi rossoneri fece letteralmente tremare San Siro: da troppo tempo il tifo milanista stava aspettando la riscossa nei confronti dei supponenti cugini nerazzurri. Però la rete di Bergomi all’89’ spegne i sogni rossoneri di qualificazione, ma quella sera il bomber scozzese, con la sua esultanza “terrificante”, è diventato l’idolo della tifoseria rossonera. Joe Jordan (nato a Carluke, Scozia, il 15/12/1951) arriva in Italia che non è più un ragazzino, accompagnato da una buona fama costruita sui gol e sulle innumerevoli battaglie inglesi. Dopo gli esordi scozzesi, nel 1970 viene acquistato dal Leeds, e per 8 stagioni contribuisce alle fortune del club. La prima stagione da protagonista è quella del 1973, quando coi suoi gol porta il Leeds a giocare la finale di Coppa delle Coppe e si conquista un posto nella nazionale scozzese. Proprio in quella finale di Salonicco le strade di Jordan e del Milan si incrociano per la prima volta: è la squadra di Nereo Rocco ad affrontare e sconfiggere gli inglesi di Jordan per 1-0 con gol di Chiarugi dopo tre minuti. Jordan è un centravanti potente, eccellente nel gioco aereo e dalla grande determinazione e generosità; la voglia di primeggiare in area di rigore lo porta a gettarsi in tutti i modi su ogni pallone, e con questo suo modo irruento di giocare mette spesso a repentaglio la propria incolumità fisica, sia in partita che in allenamento.



È proprio in allenamento che succede il fatto che gli cambia la dentiera nel vero senso del termine e lo rende celebre: nel tentativo di colpire un pallone in tuffo di testa, si becca un calcione in bocca che gli procurò la perdita di tutti gli incisivi superiori. Fuori dal campo, Jordan, porta una dentiera, a cui però rinuncia in campo. Molti dicono che lo fa per incutere paura ai difensori avversari, fatto sta che quando apriva la bocca, assumeva un aspetto truce, evidenziato dalla capigliatura folta e dal fisico imponente. Questa caratteristica gli valse, da parte dei suoi tifosi, il soprannome di “Shark” (“lo Squalo”), che lo accompagna per tutta la carriera. Dopo 157 partite e 35 gol nel Leeds United, Jordan si trasferisce al Manchester United dove rimane per 3 anni e mezzo, il tempo di segnare 37 gol e diventare l’idolo della tifoseria. Infatti, quando nel 1981 fu ceduto al Milan, i tifosi dei Red Devils protestano contro la società.


“Imparerai ad avere occhi anche sulle spalle, avrai sempre tre o quattro difensori pronti ad intervenire. Dovrai stare attento a non perdere la testa o rischierai di essere squalificato o cacciato via. Tua moglie farebbe bene ad abituarsi all’idea che per almeno quattro giorni alla settimana sarà come se non fosse sposata. Agli italiani non garba che i loro giocatori abbiano rapporti sessuali nei giorni che precedono e seguono la partita”. (Denis Law)

Ed ecco, quindi, che nel pieno della maturità agonistica, nel 1981 “lo Squalo” arriva in Italia. Come detto l’inizio è più che positivo, grazie alle 3 reti messe a segno nelle prime 4 gare di coppa Italia. La sua esultanza sotto la Curva Sud, con lo Squalo abbracciato da Buriani e Collovati, è ancora oggi una delle foto con il più alto grado di milanismo dei primi anni 80. Lo stadio esulta con il giocatore, persino Radice entra in campo ad abbracciare i suoi giocatori. È in quel preciso momento che Jordan riesce a conquistare l'affetto dei tifosi e anche il mio piccolo cuore che aveva sette anni ma che già sgorgova sangue rossonero. Purtroppo il derby di coppa è stato un piccolo antipasto della stagione negativa che il Milan si apprestava a vivere. Perché proprio allo scadere, Beppe Bergomi segna il gol del 2-2 che di fatto qualifica l’Inter.


“Non mi aspettavo un Jordan così forte, si è rivelato un acquisto azzeccato. Può essere il goleador della serie A”. (G. Rivera)


Nessuno avrebbe potuto immaginare che dopo quell’inizio promettente quella stagione si sarebbe trasformata, per il Milan, in un autentico calvario. Jordan in allenamento è uno che non si lamenta mai, si allena con estrema serietà e applicazione, cercando di seguire i dettami che Mister Radice dava alla squadra. In una squadra praticamente incapace di fare gol (il Milan metterà a segno la miseria di 21 gol in tutto il campionato), Jordan fu incapace (ed impossibilitato) a dare il contributo atteso, finendo la stagione con un bottino di appena 2 gol in 22 gare disputate. In questa tristezza generale però sta per riuscire nell’impresa più grande: segnare all’ultima giornata uno dei gol che potevano valere una incredibile ed inaspettata salvezza.



Col Milan sotto di due gol dopo il primo tempo a Cesena, è proprio lo Squalo a dare l’inizio alla clamorosa rimonta da 0-2 a 3-2, gli altri gol sono di “Ciccio” Romano e di “Dustin” Antonelli con una incredibile cavalcata, che stava per permettere ai rossoneri di salvarsi dalla seconda B ai danni del Genoa. Un “regalo” del portiere napoletano Castellini nel finale, spalanca le porte al pareggio dei rossoblù ed alle lacrime milaniste. Quattro giorni prima di quel maledetto 16 Maggio, il Milan si aggiudica la Mitropa Cup è proprio Jordan a segnare al 77’ minuto della gara decisiva contro il Vitkovice il gol che permette ai rossoneri di alzare il trofeo. Alla fine di quella stagione nefasta, Jordan viene comunque convocato per il mondiale spagnolo e dopo Germania 74 e Argentina 78 disputa la sua terza fase finale dei Mondiali con la nazionale scozzese, ed ancora una volta entra nel tabellino dei marcatori della sua squadra. Questo gli valse un record che ancora oggi detiene: Joe Jordan è l’unico giocatore scozzese ad aver segnato in tre edizioni diverse dei campionati del mondo.

Il risveglio nel finale di stagione, convince la società rossonera a confermare Jordan anche per il successivo campionato di serie B (1982/83). Il tecnico Ilario Castagner, decide di affiancare al giovane Serena i “vecchi” Jordan e Damiani per risalire subito nella massima serie, ed i fatti gli danno ragione. Un Jordan rinfrancato dal rapporto col nuovo allenatore, dà il suo decisivo contributo alla causa, mettendo a segno 10 reti in campionato e 4 in Coppa Italia e assieme ad Aldo Serena è il miglior marcatore stagionale dei rossoneri. In coppia con Aldo Serena, “The Shark” si scrolla di dosso la mediocrità dell’annata precedente, segnando numerose reti. Joe non temeva il gioco duro della cadetteria, anzi gli ricordava quello scozzese e inglese dove aveva lasciato evidenti tracce positive e si ambienta meglio nella nostra serie B meno tecnica e più fisica rispetto alla serie A.

E la sera della sua ultima partita in rossonero a San Siro i tifosi lo omaggiano di un lungo applauso, e come iniziò la storia d’amore con i tifosi del Milan in quel lontano derby del 1981 non poteva che finire con un derby e precisamente nel derby del Mundialito ’83.

Il nuovo Milan che si ripresentava in serie A anche per merito suo, decide che il “vecchio Joe” non rientra più nei piani tecnici della società, e così dopo appena due stagioni con 66 partite ufficiali e 20 gol si concluse l’avventura di Joe Jordan in rossonero. Dopo una breve parentesi nel Verona, Jordan torna in Inghilterra per giocare nel Southampton (3 anni) e nel Bristol.

Nel suo libro Behind the dream, racconta in maniera molto positiva dei suoi anni italiani con il rammarico di essere arrivato nel bel paese nella parabola discendente della sua carriera con il fisico logorato dalle tante battaglie inglesi, e io lo voglio ricordare con la foto del mio poster e con lo striscione che campeggiava a San Siro in suo onore:


“Shark kicks again for us”




Permettetemi di ringraziare Sergio Taccone che con i suoi scritti e libri sul Milan di quegli anni ha ispirato questo articolo. Grazie

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