di Massimo Volpato
Fin da piccolo mi hanno sempre detto che il calciatore è un privilegiato, uno che fa il lavoro che gli piace e che piacerebbe a moltissime persone ma che solo pochi riescono. Mi hanno sempre detto che sono ricchi, che a volte sono mercenari e giocano solo per i soldi, circondati da donne bellissime e che se non fossero dei calciatori nemmeno si avvicinerebbero.
Crescendo, molte di queste affermazioni mi sono sembrate vere altre forse frutto d’invidia. Però ho anche scoperto che il calciatore è anche un uomo e come tale ha i suoi alti e bassi come tutte le persone comuni, e possono avere le loro difficoltà. Come le ha avute Agostino Di Bartolomei.
Quando nell’estate 1984, il presidente Giussy Farina acquista il centrocampista laziale dalla Roma, fresco finalista di Coppa Campioni, io sono al settimo cielo. Un quasi campione d’Europa che indossa la maglia rossonera. In quegli anni, non è così scontato vedere giocatori così importanti venire acquistati dal mio Milan. Assieme a lui in quella estate arrivano a Milanello, Giuliano Terraneo dal Torino, Pietro Paolo Virdis dall’Udinese, e il duo inglese Wilkins, addirittura dal Manchester United e Mark Hateley. Sono gli ultimi colpi di coda di Farina nel raddrizzare una barca che sta iniziando ad imbarcare acqua, da lì a due anni gli subentra Berlusconi, ma questa è un’altra storia.
“Ci trasferimmo a Milano. Luca era piccolo, c’era tanta neve e faceva freddo. Avevamo nostalgia di Roma. Io volevo chiudere la carriera a Roma” (A. Di Bartolomei)
Però per capire il trasferimento in rossonero di Agostino dobbiamo ritornare ad una data precisa, il 30 maggio 1984. A noi rossoneri quella data forse non significa nulla, ma al popolo giallorosso dice molto, è la data della finale di Coppa Campioni tra la Roma e il Liverpool. In una città come Roma la passione a volte si trasforma in pressione insostenibile. Il ritiro di preparazione alla finale è lunghissimo, iniziano a susseguirsi le voci di un imminente addio di Nils Liedholm, con destinazione Milan.
La finale vede la Roma inizialmente soccombere al Liverpool che infatti passa in vantaggio, ma i giallorossi grazie a Conti e a Pruzzo riescono ad acciuffare il pareggio. La partita si trascina ai rigori e in questa situazione la pressione psicologica finisce per schiacciare alcuni giocatori della Roma.
Pruzzo e Cerezo, rigoristi abituali, sono usciti per infortunio e quindi non possono essere inseriti nella lista dei rigoristi. Per sostituirli si fanno avanti Conti e Graziani, due che rigoristi non lo sono, ma gli occhi di tutti, compresi quelli Di Bartolomei, sono rivolti verso Falcao. Il brasiliano è il leader tecnico e la stella della squadra, ma stranamente non si fa avanti per calciare il suo rigore, dicendo di avere dei problemi al ginocchio e di non essere in grado.
Quello è l’esatto momento in cui si rompe qualcosa nel gruppo giallorosso. Il rifiuto di Falcao suscita delusione e sconforto in molti giocatori. E tra questi sicuramente c’è Agostino, sempre ammirato in spogliatoio ma mai pienamente compreso. Litiga prima con Graziani e poi con il campione brasiliano, di fatto inimicandosi tutti. Lui da uomo tutto di un pezzo assieme al suo silenzio si prende la responsabilità di battere il primo rigore, che permette alla Roma di andare in vantaggio dopo il primo errore del Liverpool. Ma ironia del destino è il tiro di Graziani, il cui errore dal dischetto in maglia granata aveva permesso alla Roma di alzare la Coppa Italia 4 anni prima, a centrare la traversa e a trasformare il sogno romanista in un incubo giallorosso.
Di Bartolomei non dice nulla e si rifugia nel suo silenzio, che a volte sa essere assordante ma il dolore che ha provato in quella occasione, deve essere stato molto forte e tiene tutto dentro di se. Dopo quella sera arriva un nuovo allenatore al posto del barone Liedholm, un altro svedere: Eriksson. Il nuovo allenatore non lo ritiene idoneo alla nuova filosofia e viene messo nella lista dei cedebili.
“Esistono i tifosi di calcio e poi esistono i tifosi della Roma” (A. Di Bartolomei)
E così in quella calda estate del 1984 l’ex capitano giallorosso veste l’abito rossonero e raggiunge il suo mentore Liedholm a Milano. Come sempre poche parole e tanti fatti. Ci sono due gol che ricorderò per sempre. Uno lo realizza il 28 ottobre 1984, noi casciavit ricordiamo bene quel giorno, è il derby vinto con il famoso gol di Hateley che sovrastata Collovati. Ma il gol del pareggio in quella famosa partita lo firma proprio lui, DiBa, cross di Wilkins dalla destra, sponda di testa di Virdis, Di Bartolomei arriva a rimorchio e con un bellissimo tiro di destro dall’altezza del dischetto batte Zenga e fa 1-1.
E poi c’è il secondo gol, quello realizzato alla sua Roma, Ago ruba palla al limite, entra in area e con l’esterno destro supera l’ex compagno Tancredi e il Milan vince la partita con il suo gol che risulta decisivo. Con questo gol la sua vita cambia, perché esulta sotto la curva sud rossonera in maniera molto energica, carica di rivalsa per essere stato messo da parte troppo in fretta dalla sua Roma. Ma se una curva sud esulta, c’è un’altra curva sud che ha pianto per il suo trasferimento e ora vomita la sua rabbia e lo dichiara colpevole.
L' esultanza non viene perdonata dai tifosi della Roma che pochi mesi dopo, nella sfida capitolina gli riserva una dura accoglienza, Ago soffre moltissimo quella accoglienza e arriva a litigare con Graziani in campo, dopo un fallo fatto a Bruno Conti.
Al Milan rimane per tre stagioni, gioca 122 partite e realizza 14 gol, i suoi anni sono quelli che anticipano l’evento di Berlusconi, il suo ultimo anno in rossonero coincide con il primo anno del Cavaliere alla presidenza. E’ la stagione del raduno con gli elicotteri all’Arena Garibaldi, le aspettative sono molte, ma i risultati sono alterni e per questo viene esonerato Liedholm.
Berlusconi sta preparando l’avvento di Sacchi. Con l’esonero del Barone svedese Agostino, da persona intelligente, capisce che la sua avventura al Milan sta volgendo al termine, infatti il contratto non gli viene rinnovato. Accetta di fare un anno a Cesena e poi decide di tornare a casa, ma non a Roma. Si stabilisce nel paese nativo della moglie e decide di giocare nella Salernitana, all’epoca in serie C e con la fascia al braccio guida la squadra campana ad una promozione storica in serie B che mancava da ventitre anni. E proprio nel giorno della promozione Ago decide di chiudere con il calcio giocato.
“Quando smetti non è facile ritrovare un equilibrio, psicologico ma prima ancora fisico: si passa da due allenamenti di 2 ore al giorno a zero, o quasi. Si passa dall’adrenalina pazzesca ogni domenica, ad un’esistenza normale che non ti compete. Sembrerà una sciocchezza, ma è molto dura” (A. Di Bartolomei)
Dopo 17 anni da professionista, Di Bartolomei dice basta e appende gli scarpini al chiodo e inizia una nuova fase della sua vita. Rimane a vivere nel salernitano, apre una scuola calcio. Nel frattempo la Roma ha cambiato proprietà, passando da Viola a Ciarrapico ma sulle sponde del Tevere nessuno si ricorda di lui. Quella Roma che lui ha portato alle soglie del paradiso si sta trasformando in inferno. Il 30 maggio 1994, esattamente dieci anni dopo la finale dell’Olimpico, Agostino decide che i colpi della vita sono stati sufficienti e fischia la fine di essa, indirizzando la pistola contro il suo grande cuore giallorosso, e spero anche un po’ rossonero, perché io quel giorno di quella meravigliosa estate ero in estasi nel vedere un centrocampo di qualità al Milan formato da lui e Wilkins. Ora entrambi stanno dispensando saggezza nel centrocampo del cielo.
In ogni posto che ha giocato ha sempre lasciato un grande ricordo, si è sempre fatto apprezzare per valori umani che in questi ultimi anni e, forse già da allora, stanno scomparendo. A Roma gli hanno dedicato un viale all’interno del parco Villa Lais e a Salerno la piazza antistante allo Stadio, purtroppo molti non ti hanno capito.
Caro Ago grazie per avermi reso felice e onorato nel vederti vestire la mia maglia preferita, e sappi che ho cantato anch’io come i ragazzi della curva Sud di San Siro:
“Ooooooh Agostino, Ago Ago Ago Agostino oooooh”
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