di Massimo Volpato
19 maggio 2000 allo stadio di Manchester, il mitico “Old Trafford” si gioca la partita di ritorno dei quarti di finale tra i padroni di Casa del Manchester United, campioni in carica, e il Real Madrid che vince la partita per 3-2.
Ma soffermiamoci sul terzo gol dei blancos, lo segna Raul a porta praticamente vuota, l’assist lo ha fatto un giocatore che in venti metri ha scritto una pagina indelebile della storia del torneo e oserei dire del calcio. Una corsa lungo la fascia sinistra, un dribbling di tacco con cui si libera incredibilmente di due avversari, l’assist per il compagno Raul che mette la palla in rete.
Un vero capolavoro!!!
Un colpo non da tutti, fatto nello stadio dei sogni, un colpo geniale dove ci sono tutti i requisiti del gran giocatore e il suo nome è: Fernando Redondo.
Fernando Carlos Redondo Neri è un fuoriclasse vero, un autentico campione, un concentrato di tecnica, classe, intelligenza tattica, eleganza e grande visione di gioco.
Le movenze non sono quelle di un giocatore veloce, ma Redondo fa viaggiare velocemente l’intelligenza ed il pallone, e questo è sufficiente per farne un “volante” perfetto, quello che detta i tempi alla squadra.
Grande proprietà di palleggio, capacità nello smarcarsi, di recuperare la palla e far ripartire velocemente l’azione della squadra, il tutto sempre col petto in fuori e la testa alta.
Proprio per questa sua eleganza in campo viene soprannominato il “Principe”, soprannome che si meritò anche per un comportamento irreprensibile fuori dal campo.
“Chiesi a Galliani di non pagarmi lo stipendio fin quando non sarei tornato a giocare. A Milanello tutti mi chiedevano quando sarei tornato e io non sapevo cosa dire. Dovevo lasciare il centro sportivo: se tutto questo fosse successo a Madrid sarebbe stato diverso, perché avevo già dato tanto per il club. Ma a Milano non ero in grado di giocare nemmeno un minuto. Era una cosa terribile.”(F. Redondo)
E fu proprio per la sua professionalità dimostrata e attaccamento ai colori rossoneri, nel momento più difficile della sua carriera che i tifosi milanisti si innamorarono di lui, quando “pur di vestire per almeno una volta la maglia del Milan” decise di togliersi per intero lo stipendio che il Milan gli garantiva (5 miliardi netti delle vecchie lire all’anno) fino a quando non sarebbe guarito e tornato in campo.
“E’ il grande colpo che tanto cercavamo. Non è stato facile, anche perché il presidente del Real ha tentennato fino all’ultimo.” (A. Galliani)
Arrivato al Milan nell’estate del 2000, fresco di conquista dell’ennesima Coppa dei Campioni con il Real Madrid e, soprattutto, con il premio di Miglior Giocatore di quella edizione di Coppa (1999/2000).
Redondo è nel momento migliore della sua carriera, e dopo un’estenuante trattativa dice di sì al Milan che spende 35 miliardi per strapparlo al Real.
Gli occhi di Braida si sono posati sul centrocampista argentino già quando arriva in Europa nelle file del Tenerife.
Siamo nel 1990, e Fernando Redondo ha rinunciato ad andare ai Mondiali italiani del ’90 perché deve andare all’università (studia economia e commercio).
Dopo 5 stagioni nell’Argentinos Jrs, comincia la sua avventura nella Liga spagnola, prima al caldo di Tenerife (4 stagioni) e poi nel Real Madrid.
E’ nel grande Real della seconda metà degli anni ’90 che arriva la sua consacrazione. In sei stagioni da grande protagonista conquista 2 volte la Liga, 2 volte la Champions League (1998 e 2000) ed 1 volta la Coppa Intercontinentale (1998), ma soprattutto diventa un calciatore ammirato da tutti gli addetti ai lavori.
Oltre a questo mette in mostra anche una personalità spiccatissima: per 5 anni non viene convocato dal CT argentino Passarella perché rifiuta di tagliarsi i capelli.
Questa fermezza gli costerà la convocazione anche alla fase finale dei Mondiali del ’98 in Francia, proprio nella stagione in cui è il padrone assoluto del decoratissimo Real.
Nonostante l’esilio forzato del quinquennio, con la Seleccion mette insieme 48 presenze (e 3 gol) e fa in tempo a vincere una Coppa America ed una Confederation Cup.
“Ricordo di aver fatto la preparazione estiva con Il Real Madrid, ma al Milan fu tutto diverso, gli allenamenti erano duri, con molti carichi e lavoro di forza, per orgoglio non ho mai detto nulla ma muscolarmente ero distrutto” Quindi forzando una giocata mi rotto il crociato.” (F. Redondo)
Nel 2000, col petto pieno di medaglie, arriva finalmente al Milan.
Ma l’entusiasmo dura poco.
Dopo pochi giorni di preparazione estiva, il ginocchio del Principe salta.
Comincia un calvario di due stagioni e ben tre operazioni: una nell’ottobre del 2000, una nel giugno del 2001 ed una nel gennaio del 2002 (ricostruzione del crociato anteriore, asportazione e pulizia del tendine rotuleo).
Sembra un giocatore ormai perso, ma la sua forza di volontà è enorme.
Vuole a tutti i costi giocare con la maglia del Milan, perché (dice lui) “è una cosa che sogno da sempre”.
Passa molto del suo tempo in Belgio a curarsi dal professor Martens, e finalmente nell’ottobre del 2002 corona il suo sogno.
In occasione della partita amichevole organizzata per l’addio di Boban, a Zagabria, debutta in rossonero e resta in campo per 40 minuti.
E’ una grande emozione per tutti.
Ormai è pronto, e nel mese di dicembre avviene il debutto ufficiale: il 3 dicembre in coppa Italia contro l’Ancona, e 4 giorni dopo (il 7 dicembre) in campionato contro la Roma.
In quella fredda serata il Milan vince 1-0 con gol di Inzaghi, ma la cosa più bella è la standing ovation di San Siro all’ingresso in campo di Fernando nella ripresa. Finalmente Redondo è un giocatore a disposizione dell’allenatore Ancelotti, ma le occasioni in cui viene impiegato non sono molte.
La lunga inattività e, soprattutto, l’esplosione in cabina di regia del giovane Pirlo lo costringeranno spesso in panchina.
“E’ stato un grande piacere e un onore far parte della famiglia Milan. Ringrazio i tifosi per l’affetto che mi hanno sempre manifestato.” (F. Redondo)
Fernando saluta i tifosi del Milan il 16 maggio 2004, nella partita che tutti ricordano per essere l’ultima di un altro grande numero 10 passato anche per il Milan, Roberto Baggio. L’argentino lo fa alla sua maniera in disparte e con discrezione lasciando il palcoscenico al divin codino, festeggiando la vittoria dell’unico scudetto del Milan di Ancelotti.
Nelle due stagioni di vera attività, Redondo collezionerà in totale 33 presenze: 16 in campionato, 11 in coppa Italia e 6 in Champions League.
Saranno sufficienti, tuttavia, a contribuire ad alcune delle vittorie più belle del ciclo ancelottiano: uno scudetto, una Champions League, una Supercoppa Europea ed una Coppa Italia il palmares rossonero del Principe.
Purtroppo abbiamo avuto poche occasioni per ammirare da vicino le grandi qualità tecniche di Redondo, e della sua esperienza milanista resta un grande rimpianto per quello che poteva essere ma non è stato.
Ma resta anche il grande orgoglio di averlo visto giocare con la nostra maglia, la grande ammirazione per una professionalità che ha pochi eguali nel mondo del calcio-business e che ha trafitto i nostri cuori e la grande lezione di vita di chi non si arrende di fronte alla sorte che sembra averti voltato le spalle per sempre.
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