di LM
Sette giorni fa dicevamo “buona la prima”. Buona anche la seconda. A Crotone, i rossoneri dimostrano che, anche senza Ibra, viene fuori il giusto atteggiamento. Sul gioco, ormai, i dubbi non ci sono più: Stefano Pioli ha trovato la quadra di un gruppo che finalmente sa esprimere le proprie qualità, riuscendo a mettere anche i nuovi nelle condizioni di far bene, come testimonia la prima rete in rossonero di Brahim Diaz. A Crotone, come riferito nel post-gara dallo stesso tecnico, ha vinto la maturità della squadra. Il Milan ha controllato il campo, ha concesso pochissimo e, soprattutto, ha saputo gestire l’inevitabile calo dei minuti finali. Non si sono visti i patemi sofferti contro Bologna e Bodø/Glimt. L’assenza di Ibrahimovic, per forza di cose, porta il gruppo ad affidarsi ad altri leader e, ora più che mai, è impossibile prescindere dal carisma di Çalhanoglu e Kessiè. Il turco, ancora una volta, ha preso in mano il motore trainante della squadra; l’ex Atalanta, dal canto suo, è il vero e proprio gladiatore del centrocampo. Parliamo di due giocatori che al Milan, per certi periodi, se la sono vista brutta. Davvero brutta.
Hakan Çalhanoglu è stato vicino all’addio, così come l’ivoriano. Fino alla scorsa sessione di mercato, circolavano presunti sondaggi del Torino, così come di altre squadre turche e tedesche. A detta dei media, la valutazione del numero 10 non superava i 15 milioni. Un affronto, un oltraggio. Soprattutto per chi, le qualità dell’ex Bayer Leverkusen non le ha mai ignorate e, ancor più importante, non le ha sminuite per assurdi giochi di partito, relativi a simpatie/antipatie verso i dirigenti. Il primo nemico di Çalhanoglu, incredibilmente, è stato proprio l’ambiente attorno a lui, oltre che una disposizione tattica Susocentrista che, malauguratamente, ha relegato il turco a mansioni ben distanti dall’eccellenza del suo estro. Tutto è bene quel che finisce bene, ma che salita, che guerra, per conquistare l’affetto di una piazza a cui Çalhanoglu non ha mai mancato di rispetto, né di impegno e dedizione. Ora manca la ciliegina sulla torta, il rinnovo di contratto.
Franck Kessiè, il sedicente presidente del club, non è mai stato ai margini della rosa. Più per necessità che per gradimento. Dal suo approdo, nell’estate del 2017, l’ivoriano ha giocato 138 partite con la maglia del Milan. Incredibile. Kessiè, come nel caso del turco, spesso ha subito la miopia tattica di Gattuso prima, Giampaolo poi. Ciononostante, “Franck The Tank” non ha mai abbassato l’intensità delle prestazioni, perdendosi in errori figli della scarsa lucidità fisica e, talvolta, di una base tecnica non sempre eccelsa. Ma, per l’appunto, l’ivoriano non ha mai mollato e, in un modo o nell’altro, dopo quattro nuovi allenatori e sei nuovi dirigenti, è ancora lì. Imprescindibile e in continua crescita. Anche lui, come Çalhanoglu, è stato spesso sacrificato sull’altare dei capri espiatori. Talvolta indicato come uno con cui “fare cassa”, o come pedina di scambio in presunti affari quantomeno opinabili. “La pazienza è amara, ma il suo frutto è dolce”. Cit. Jean-Jacques Rousseau.
A proposito di pazienza, è definitivamente terminata quella a disposizione di Lucas Paquetà. Nella giornata di ieri, Milan e Olympique Lione si sono accordate per il trasferimento a titolo definitivo. Per quanto riguarda le cifre, siamo ancora nel campo delle indiscrezioni: in Francia parlano di circa 21 milioni di euro. Un vero colpo di Maldini e Massara. Il brasiliano aveva deliziato San Siro. Aveva conquistato le lodi del tifo e, seppur con qualche remora, tutto il popolo milanista sperava ancora di vederlo esplosivo e dominante, come nel girone di ritorno della stagione 2018/19. Abbiamo più volte sottolineato l’indubbia cifra tecnica che, inevitabilmente, faceva di Paquetà un giocatore su cui credere, su cui insistere. Purtroppo, non è servito a nulla. Nel Milan sereno e maturo di Stefano Pioli, l’ex Flamengo è stato l’unico a non riuscire a tornare ad alti livelli di performance, nonostante i cambi di modulo che, certamente, avrebbero potuto agevolare le caratteristiche di Paquetà. Gli atteggiamenti, legati anche ad una discutibile attività sui social, hanno stizzito e non poco anche chi lo ha sostenuto, nei momenti buoni e in quelli meno buoni. Che dire, senza rancore: buona fortuna Lucas. Nessun rimorso, anche se un’enormità di rimpianti.
Per un Paquetà che esce, c’è un giovane Jens Petter Hauge che entra. I rossoneri, hanno chiuso l’operazione-lampo per il giovane norvegese classe 1999, affrontato giovedì scorso. Il piccolo Jens ci ha fatto penare, lui come i suoi compagni. Impossibile non notare le sue ottime qualità: destrezza, rapidità, tocco di palla ed intelligenza tattica. Le perplessità emergono dal contesto e, più nello specifico, dal livello generale in cui ha militato finora Hauge. Tuttavia, le buone premesse ci sono. Il Milan non era l’unico club ad averlo notato e, inoltre, il Direttore Tecnico Paolo Maldini, finora, ci ha mostrato una certa capacità nel riconoscere i talenti.
Il giovane Hauge può scrivere una bella storia con il Milan. Non siamo ai livelli di tifo consolidato alla Sandrino Tonali ma, inevitabilmente, parliamo di un ragazzo di talento che, proprio come l’ex Brescia, non ha atteso un istante prima di volare alla corte del Diavolo. Di belle storie il Milan ne sta scrivendo tante, iniziando dal tecnico Stefano Pioli, passando per Zlatan Ibrahimovic. Ora può essere il momento di Hauge che, verosimilmente, si è trovato un inaspettato treno su cui è salito al volo, nella speranza che lo porti più rapidamente possibile al successo in rossonero. Paradossalmente, il neo acquisto norvegese arriva da giocatore più in forma della rosa. Lui, che come i suoi ex compagni ha già accumulato 18 partite, condite tra l’altro da 14 reti e 10 assist, può presto trovare la via dell’esordio, complice anche l’infortunio di Ante Rebic. Intanto, ci accingiamo a vivere quest’ultima settimana di mercato, in attesa del colpo finale di Maldini, presumibilmente, un difensore centrale.
Comments