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BOLOGNA AWAY - TORINO AT HOME (2001-02)


“Non arrenderti mai, perché quando pensi che sia tutto finito, è il momento in cui tutto ha inizio” .

Questo aforisma di Jim Morrison, uno dei più grandi e iconici frontmen della storia del rock, non sembra scritto durante la rivoluzione socioculturale degli Anni 60 ma proprio dopo la trasferta a Bologna nel marzo 2002.

È infatti molto più di una sconfitta quella subita al Dall’Ara, una vera disfatta che sancisce il definitivo distacco tra squadra e tifosi.

La stagione, invero, si era aperta tra l’entusiasmo generale grazie a una sontuosa campagna acquisti di cui Filippo Inzaghi e Rui Costa rappresentavano le stelle più luccicanti. Quella festosa presentazione dinanzi all’Hotel Gallia, che secondo molti avrebbe dovuto segnare il ritorno ai fasti del passato, ben presto si rivela però solo il piacevole ricordo di una calda mattinata estiva.

Dopo l’esonero di un imperatore senza impero (il turco Fatih Terim) nemmeno l’arrivo in panchina del vecchio cuore rossonero Carlo Ancelotti riesce infatti a invertire il trend negativo.

La squadra appare senza un’anima e anche l’obiettivo minimo - la qualificazione alla Champions League - si sta dimostrando, giornata dopo giornata, niente più di un’utopia.

In questo contesto la partita contro il Bologna rappresenta una sorta di ultima spiaggia per agganciare i Rossoblu, autori al contrario un campionato sorprendente.




Diretti in panchina da Guidolin, presentano soprattutto un attacco di prim’ordine con l’emergente centravanti argentino Julio Ricardo Cruz, detto “El Jardinero”e Beppe Signori, non più crepuscolare ma semplicemente eterno.

Quello che impressiona è però soprattutto la compattezza della squadra oltre al pressing portato quasi all’esasperazione. Il confronto con l’atteggiamento spesso indolente dei Rossoneri è impietoso.

Il campo non mente e così dopo soli 20 minuti il risultato ci vede soccombere per un 2-0 tristemente meritato.

L’assoluta mancanza di reazione induce la Curva alla decisione estrema di abbandonare anzitempo lo stadio. Una forma di protesta eclatante che ha un solo precedente (Roma-Milan 5-0, stagione 1997-98) ma assolutamente appropriata verso una squadra che non sembra dimostrare il minimo attaccamento alla maglia.



Sembra tutto finito ma, proprio come diceva Jim Morrison, è proprio il punto più basso quello da cui tutto può iniziare. E l’inizio avviene nel posticipo della domenica successiva.

Sugli spalti infuria la contestazione con la Sud desolatamente vuota all’entrata in campo di Milan e Torino. La classifica, certo, non regala molte possibilità ma una prova d’orgoglio si impone.

I calciatori, spesso viziati e presuntuosi, con grande onestà questa volta riconoscono le loro colpe. E’ forse proprio questa la giusta scintilla.





Il ritorno di Super Pippo Inzaghi dopo un lungo infortunio fa il resto e, pur con grande fatica, arriva una vittoria importantissima firmata Kaladze e Ambrosini.

Che il vento stia cambiando lo dimostrano proprio l’estemporaneo capolavoro balistico del Georgiano e l’ultimo attacco dei Granata.

Si gioca il minuto numero 94 quando nell’area del Milan si accende una mischia furibonda con Cristiano Lucarelli che esplode un destro a colpo sicuro. Abbiati è battuto ma la palla lambisce il palo.

I risultati delle contendenti intanto regalano una nuova imprevista possibilità di raggiungere i preliminari di Champions, conquistati quindi nella storica domenica del 5 maggio. Lo stesso giorno in cui l’Inter conosce forse la sconfitta per eccellenza, raggiungiamo matematicamente il quarto posto più importante della storia.

Solo lo sciamanico Jim Morrison avrebbe potuto immaginare scenari ad altri non visibili: i preliminari contro lo Slovan Liberec, l’arrivo di Alessandro Nesta e il derby dei derby.

In poco più di un anno dal pomeriggio al Dall’Ara di Bologna all’indimenticabile notte al Theatre of Dreams di Manchester.

Quando pensi che tutto sia finito, è quando tutto ha inizio:

il Milan è campione d’Europa.



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