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Il terremoto Vlahovic e una 'scissione' scriteriata. La delusione dei tifosi e un derby che arriva

di Luigi Matta


Sembrava un mercato sulla falsariga di quello estivo, almeno in Italia. Poche operazioni, tanti prestiti, alcuni cambiamenti. Invece, nel finale, arriva uno squillo importante da Torino, con l'attuale capocannoniere della Serie A Dusan Vlahovic (ex aequo con Immobile, ndr) che approda alla Juventus e, a detta dei più, rimescola le carte della sfida ai vertici della classifica.


Qualcuno parla di 'uno dei primi quattro posti assicurato'. Altri, più temerari, azzardano che la Juventus contenderà lo scudetto all'Inter da qui alla fine del campionato. Che dire, tanta carne al fuoco e, alla fine, lasciamo tutti che sia lui e solo lui a parlare: il campo. L'affare Vlahovic-Juventus, seppur protagonista di tante indiscrezioni datate, è stato un vero e proprio fulmine a ciel sereno. Un vero e proprio terremoto che, paradossalmente, sembra aver fatto più 'danni' a Milano che a Firenze.


Se Vlahovic è stato il terremoto, Gosens all'Inter è stata la scossa di riassestamento che ha fatto crollare le già flebili certezze di gran parte della tifoseria del Milan. Sembra di essere tornati all'inizio d'estate 2020: l'Inter compra Hakimi, autore di una stagione super in prestito al Borussia Dortmund - ma di proprietà del Real Madrid - mentre la Juventus ufficializza Kulusevski - già bloccato a gennaio - che, in quel momento, era uno del talenti più in evidenza del nostro campionato.


I cugini mettono sul piatto - almeno sulla carta - 42 milioni di euro. La Vecchia Signora accoglie il 2000 svedese dietro corrispettivo economico di 35 milioni + 9 di bonus. E il Milan? Il Milan - reduce da un umile sesto posto - in quella settimana incandescente, 'rispondeva' con Pierre Kalulu. Il francese arrivò per un indennizzo simbolico di 1,19 milioni di euro, essendo in scadenza di contratto. Poi arrivarono Tonali, Diogo Dalot, Hauge e Brahim Diaz.


La piazza rossonera era già in tumulto ma, a fine campionato, la Juventus arrivò alle spalle del Milan. I 66 punti rossoneri della stagione 2019/20, diventarono 79 in quella successiva. L'Inter, invece, vinse lo scudetto già inseguito nell'anno precedente e 'sfuggito' per un solo punto rispetto alla Juventus di Maurizio Sarri. Oggi Hakimi è a Parigi, Kulusevski viene proposto a mezzo mondo e, pare, sarà il vecchio amico Paratici e sbrogliare la patata bollente alla Juventus.


Come già accaduto svariate volte, nel corso di questi anni di rinascita, il popolo rossonero si è diviso. Le due fazioni sono quelle note. A volte si perdono di vista ma esistono sempre e, quando le cose non vanno, si fanno più marcate che mai. Da una parte gli aziendalisti amici di Elliott e fanatici del bilancio. Dall'altra i milanisti 'da battaglia', quelli ambiziosi che vogliono la gloria. Così accade che, mentre le altre tifoserie si godono la loro squadra, quella milanista combatte al suo interno per far prevalere la visione più 'intelligente e mirata'.


Una vera e propria scissione che, a tratti, imbarazza. Innanzitutto perché stento a credere che i cosiddetti 'aziendalisti' godano nel vedere il Milan non vincere nulla. Al tempo stesso mi chiedo come mai, i tifosi più 'caldi' da critica al vetriolo, mettano in evidenza i gravi squilibri economici del gruppo Suning se poi, nel caso del Milan, la stabilità e la ripresa viene sminuita a semplice 'accontentarsi del bilancio'.


Una cristallizzazione delle proprie posizioni che, purtroppo, non porta da nessuna parte. Una sorta di 'protezione' dagli sfottò altrui, non solo dei tifosi ma anche dei giornalisti accreditati con le statistiche a misura d'uomo e la polemica arbitrale a scoppio di convenienza. E mi viene in mente una massima dello scrittore Leopoldo Longanesi: "In Italia, tutti sono estremisti per prudenza". Prudenza, ma anche risposta pronta. Così da poter dire:"Il Milan non vince perché Elliott non spende". Sarebbe bello fosse davvero così, risparmierebbe ore di lavoro su analisi tattiche, infortuni, moduli, allenatore, calendario, forma fisica ecc.


Doveroso mettere in chiaro che, la proprietà, ha purtroppo perso un treno importante per bruciare ulteriormente i tempi. Kjaer andava sostituito da subito e degnamente. Dopo le docce fredde Donnarumma e Calhanoglu, bisognava muoversi diversamente con il rinnovo Kessié. Bisognava - e bisogna - approfondire attentamente cosa non funzioni nel Milan in materia di infortuni e, soprattutto, tempi di recupero. Al tempo stesso, l'attuale proprietà, ha avuto più volte il coraggio di rivedere le proprie strategie per il bene del Milan. Evito accuratamente riferimenti a bilancio e sponsor, per quanto importanti.


Strategia giovani, ma giocatori come Ibrahimovic e Kjaer sono arrivati ugualmente. Maldini-Boban amici da una vita, ma il primo è rimasto al fianco dell'allora inviso Gazidis e ha preso in mano la gestione tecnica chiudendo uno squilibrio societario che si protraeva dai tempi di Lady B vs Galliani. Va bene spendere poco, ma uno come Tomori ce lo dobbiamo tenere e ce lo siamo tenuti. Tutto fatto con Rangnick, ma se il gruppo e Maldini dicono che cambiare sarebbe un disastro, allora confermiamo Pioli.


Abbiamo speso 25 milioni per Leao (più Djaló, ndr), 17 per Tonali, 20 per Theo Hernandez, 28 per Tomori quando ancora in Champions non ci avevamo messo piede. Ci siamo fatti 'beffare' su Sensi, Veretout, Kabak, Simakan, Kaio Jorge, Faivre, Kone ecc ecc. Il Napoli aveva in pugno Theo Hernandez ai tempi di Ancelotti, ma gioca nel Milan e sta per rinnovare il proprio contratto, alla faccia di chi ambisce a fare il secondo in panchina, o a chi si è sentito lasciato "con il cerino in mano" dopo una stagione e mezzo di ottime prestazioni in 4 anni. L'Inter aveva in pugno Tonali, ma ora gioca nel Milan. La Juventus si è impegnata a pagare quasi 37 milioni per Locatelli, tra riscatto e bonus. Con pressappoco quei soldi, il Milan ha creato il centrocampo del presente e parte del futuro, tra Tonali, Bennacer e il prossimo arrivo Adli.


Scelte buone e scelte cattive, o meglio non-scelte, come è accaduto in questo mercato di gennaio. Non c'è il giusto o sbagliato. Non c'è la ragione o il torto. Da sempre e per sempre c'è il Milan. Inevitabile essere delusi. Anzi, è doveroso esserlo. Così com'è giusto esserlo quando i risultati non vanno. Ma se Vlahovic e Gosens fanno calare la fiducia nel futuro del club, dopo essere tornati stabilmente nelle posizioni di vertice, allora c'è qualcosa che non va anche nella tifoseria - oltre che nelle scelte di mercato - specialmente con un derby che sta arrivando.

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