di LM
Una tre giorni del genere non se l'aspettava nessuno. Eravamo dediti a "goderci" la vittoria sul Genoa, poi il terremoto della SuperLega. Il calcio rivoltato completamente e, il Milan, in mezzo ai 12 cospiratori ora invisi a tutto il sistema europeo, eccezion fatta per chi si è defilato al momento giusto e con le giuste avances. Lasciamo stare il capitolo Superlega, almeno per ora. Concentriamoci piuttosto sulla sciagurata partita di ieri. Milan-Sassuolo 1-2. Non si sa dove iniziare realmente. Anche perché la partita era stata approcciata granché bene. Il Sassuolo aveva già impegnato seriamente Inter e Roma, con i nazionali out per via della decisione di non schierare chi rientrava dal focolaio creatosi nel gruppo del CT Roberto Mancini. Il Milan comincia bene, 'tiene il campo' e disinnesca la grande intraprendenza del gruppo di De Zerbi.
Hakan Calhanoglu pesca il jolly dal mazzo con uno strepitoso tiro a giro. Poi succede quello che tutti temevano: il calo di concentrazione. Nel finale di primo tempo Berardi si trova praticamente davanti a Donnarumma ma Dalot riesce a chiudere in tempo. Nel secondo tempo il Milan riprende per lunghi tratti il controllo del match, non riuscendo a chiuderlo nonostante numerose occasioni. Non chiudere una partita contro una squadra come il Sassuolo, senza giri di parole, significa giocare col fuoco. Il fuoco di ieri pomeriggio ha 21 anni e si chiama Giacomo Raspadori. Il giovane centravanti di De Zerbi entra al 63', ribalta la partita e spedisce il Milan all'inferno.
Si è parlato tanto delle cause di tale sconfitta. Chi se l'è presa con gli infortunati, tra cui Ibrahimovic che oggi rinnova il suo contratto. Chi con Pioli per i cambi illogici e inspiegabili (non solo con il Sassuolo). Altri con Leao, autore di un'altra prova insufficiente. C'è anche chi ha dato colpe all'atmosfera creatasi dal boom della SuperLega. Tutti argomenti validi e sicuramente veritieri. Tutti uniti da un'unica verità, ovvero che la squadra ha commesso la più grave delle mancanze di rispetto, cioè a se stessa. Il Milan del girone d'andata non era solo una squadra solida, unita e con una mentalità guerriera. Era il miglior Milan degli ultimi 10 anni ed erano i numeri a dirlo. Sembra che i giocatori non abbiano avuto intenzione di rispettare ciò che loro stessi avevano costruito, con sudore e fatica, in uno dei periodi più complessi della storia recente del Diavolo.
A inizio stagione mi lasciai andare ad una piccola provocazione definendo Pioli 'il vero Maestro', come risposta alle sontuose campagne mediatiche di endorsement a Pirlo alla guida della Juventus. Pioli aveva l'opportunità di scrivere una storia meravigliosa. Lui che era arrivato nel tumulto, in mezzo al #PioliOut capace di invadere le tendenze mondiali sui social. Lui che aveva riappacificato Gazidis e Maldini, ormai prossimi alla scissione con il secondo pronto a seguire l'ex collega Boban. Lui che aveva rispedito al mittente le lussuose ipotesi di un 'progetto Red Bull' con Ralf Rangnick. Lui che aveva ridato una fisionomia ad una squadra rinata, con numeri impressionanti su tutto il 2020. Lui che aveva conquistato il favore del leader del gruppo Zlatan Ibrahimovic.
Chissà se Pioli ricorda quanto me tutti questi meriti. Certo, prendersela solo con l'allenatore sarebbe ingiusto. La fotografia di come il Milan non riesca a dare la svolta definitiva alla sua dimensione si vede in Tomori. Sì, proprio Tomori. Giocatore incredibile, di una tecnica impressionante che, pian piano, sembra essersi ambientato alla superficialità del resto della squadra. Due errori grossolani tra Genoa e Sassuolo. Il Milan, nel corso di tutta la stagione, ha avuto la grande colpa di non imparare dalle partite. E non tanto dalle sconfitte, quanto dalle vittorie. I segnali c'erano ma, troppo spesso, sono stati ignorati. E se dopo il Genoa, match in cui è un autogol a regalare i tre punti, il Milan stacca di nuovo la spina tre giorni dopo, vuol dire che si rimane stagnanti nei propri errori senza esigere qualcosa di più da se stessi. Rimanere ottimisti sembra assai più arduo che affrontare le prossime partite, tra scontri diretti e battaglie vere con chi si giocherà la salvezza.
Si potrebbe facilmente sviare facendo paragoni con l'Inter di Spalletti che riuscì in extremis a spuntarla nonostante, perdendo proprio in casa contro il Sassuolo, sembrava aver compromesso tutto. Ma sarebbe troppo semplice. Farà storcere il naso ma la verità è che il Milan ha dimostrato di non essere da Champions e, qualora riuscisse ad andarci, probabilmente sarà perché gli altri sono da Champions meno del Milan. Non resta che aspettare le ultime 6 di campionato e assistere. 43 punti nelle prime 19 giornate. 79 punti nell'anno solare 2020, a fronte di 35 partite giocate. 6 punti realizzati in più dell'Inter, 10 in più dell'Atalanta. Addirittura 14 in più della Juventus campione d'Italia 2019/20. Difficile non avere l'amaro in bocca, qualunque sarà l'esito finale. Sembra un incubo e, magari, non lo sarà. Ma già parlare in questi termini è una sconfitta, perché i sogni fino a 60 giorni fa erano ben altri.
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