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Ringhio, Andrè e Sarri: tre dure lezioni per il Diavolo. Zlatan fa Zlatan, il Milan faccia il Milan

di LM

Avrei voluto iniziare la stesura di questo articolo in modo decisamente diverso, magari con un grintoso: “siamo in finale!”, oppure “ora andiamo a vincerla!”, invece ci ritroviamo qui a raccogliere nuovamente i cocci di un’altra delusione. Venerdì sera è bastato rivedere i ragazzi scendere dal pullman per riassaporare quella scintilla emotiva che, tra una polemica e l’altra, sembrava essersi smarrita. La voglia di Milan e, più precisamente, la voglia di calcio viene certificata anche dai dati sui telespettatori: la semifinale tra bianconeri e rossoneri ha difatti realizzato il 34% di share, tradotto: 8.227.000 di appassionati hanno seguito il primo evento calcistico italiano post lockdown. Il grande peccato è che la sfida non sia stata all’altezza degli auspici: i milanisti vedono nuovamente la loro squadra abbandonare la corsa verso un trofeo, gli amanti del calcio incappano in un match in gran parte noioso, ravvivato solo dai colpi di scena arbitrali dei primissimi minuti di gara (16’ rigore sbagliato da Ronaldo, 17’ espulsione di Rebic, ndr). Risultato finale: 0-0, Juventus in finale senza particolari sforzi. Milan a casa.

L’eliminazione ha un valore ben più amplificato di quanto si possa pensare: nelle settimane precedenti abbiamo più volte enfatizzato ed argomentato la tesi, secondo cui il Milan avrebbe dovuto considerare la Coppa Italia come “la sua Champions”. La prova dei rossoneri è apparsa invece fin da subito priva di orgoglio e, ancora una volta, la squadra si è mostrata spoglia di una vera e propria anima combattiva.

Abbiamo assistito a molte chiavi di lettura del match, così come dell’intera semifinale, prendendo in esame anche la gara d’andata giocatasi ben quattro mesi or sono.

L’analisi ha portato a vedute fondamentalmente assonanti: partiamo in primis dagli interpreti del match, vale a dire, mister Pioli e i giocatori. Il tecnico ha parlato di rimpianti dovuti, sia al controverso rigore della gara d’andata, sia all’ingenua espulsione di Rebic che, di fatto, ha compromesso l’esito del match già nel suo preludio, dopodiché, ha concesso un plauso dalla fase difensiva, ritenendosi orgoglioso di non aver subito gol all’Allianz Stadium e, di conseguenza, fiducioso per il finale di stagione che attende i rossoneri. Di simile avviso ma, con toni più veementi, si è mostrato il trequartista Hakan Çalhanoglu affermando di essere un po’ arrabbiato nei confronti della linea arbitrale che, a suo dire, avrebbe dovuto servirsi di un consulto VAR per decretare l’espulsione di Ante Rebic, consulto utilizzato nella gara d’andata per assegnare il calcio di rigore a Cristiano Ronaldo.

Gli addetti ai lavori hanno, chi più e chi meno, sposato questa linea, come anche i tifosi del Diavolo che hanno in gran parte puntato il dito contro Orsato, annoverando diversi precedenti del citato arbitro, come anche passati episodi arbitrali nei match tra Juventus e Milan.

Arbitro a parte, il comun denominatore dell’opinione generale è: il Milan è uscito a testa alta, ha  avuto inoltre il grande merito di non subire gol in 10 contro 11.

Scusatemi, ma non concordo minimamente!

Certo, non sono un visionario. Men che meno ignoro la qualità reale della formazione che ha affrontato la Juventus e, mi rendo conto benissimo della difficoltà della missione a cui erano chiamati i rossoneri, così come, seppur senza costituirne un alibi, non ho dimenticato le assenze a cui ha dovuto far fronte Pioli nel preparare la sfida con i bianconeri.

Non si dimentica nulla e, pertanto, non ci si deve dimenticare neppure di quale fosse il primo e assoluto obiettivo dei rossoneri in questo match: fare gol.

I numeri statistici della contesa sono impietosi: 14 tiri a 2 per i bianconeri, 64% di possesso palla per gli uomini di Sarri contro il 36% dei rossoneri, 14 corner a 1(fonte: La Gazzetta dello Sport, ndr), sicuramente questa supremazia è da attribuirsi,nella buona sostanza, alla superiorità numerica con cui la Juventus si è potuta “avvantaggiare” per circa 80 minuti di partita, tuttavia, l’approccio iniziale della compagine di Pioli è stato troppo passivo e troppo discordante con quello che era l’obiettivo iniziale del match. Nei primi quindici minuti il Milan è stato subito messo alle corde da una Juventus che, per tutta la partita, ha mostrato molta confusione ed imprecisione, tanto da rendere paradossalmente insoddisfatto il suo allenatore, così come i suoi tifosi. Quindi va bene essere contenti per la solidità difensiva,arricchita dalle ottime prove di Kjaer e Romagnoli, va bene essere entusiasti dell’ennesimo lampo di talento di Gigio Donnarumma, strepitoso sul rigore di Ronaldo, va bene rallegrarsi per essere usciti per la prima volta dallo Stadium con la porta inviolata, va bene sottolineare una certa compattezza in 10 contro 11. Non chiedetemi però di essere soddisfatto. Credo che il Milan sia stato eliminato probabilmente dalla peggior Juventus degli ultimi 8 anni, in uno stadio che non ha potuto contare sulla “bolgia” del suo pubblico, in una sfida che richiedeva un motto d’orgoglio e si è vista replicare con un semplice “compitino” , oltre alle solite gravi ingenuità che condannano il Milan ancora una volta. Dunque sintetizzo la mia personale analisi del match rifacendomi a Charles Bukowski: “Avrei potuto anche accontentarmi, ma è così che si diventa infelici”.

Il motto d’orgoglio, in compenso, è arrivato da un altro cuore rossonero appena 24 ore dopo, il nostro caro Rino Gattuso che ha condotto il suo Napoli in finale eliminando l’Inter di Conte, in un match che, forse, è stato ingeneroso con i nerazzurri ma che ha premiato la rabbia agonistica degli uomini di “Ringhio”, in grado celermente di riprendersi dopo lo svantaggio lampo arrivato appena al secondo minuto di gioco. Gli azzurri sono approdati in finale mostrandosi non irresistibili dal punto di vista tecnico ma sfoggiando una vera anima guerriera dal punto di vista caratteriale, l’anima del loro allenatore a cui personalmente faccio i miei più sinceri complimenti dato anche il periodo drammatico che ha appena vissuto.

A rendere la sconfitta ancora più amara ha contribuito anche una vecchia conoscenza di Milanello: Andrè Silva che ha segnato una doppietta nella sfida contro l’Hertha Berlino dell’altro ex rossonero Piatek, il portoghese ha legittimato il suo magic moment segnando un pregevole gol di tacco e, in generale, il settimo gol in sei partite da quando la Bundesliga è ripartita dopo l’emergenza Covid.

Inevitabilmente si è creato il dualismo con l’altro giocatore interessato nello scambio di prestiti con l’Eintracht, ossia, Rebic. Il croato è stato ingenerosamente massacrato mediaticamente, dimostrando quanto sia labile la memoria di chi, fino a pochi mesi fa, lo osannava parlando già di cifre astronomiche per il riscatto, tuttavia, è innegabile che il buon Andrè Silva, quanto a massacri mediatici, non abbia nulla da invidiare al “collega” ex Fiorentina e forse un po’ di pazienza in più avrebbe fatto comodo. A chiudere la collezione dei rimpianti riguardo l’eliminazione dei rossoneri, ci ha pensato proprio il suo avversario, o meglio, il tecnico degli avversari Maurizio Sarri che nella giornata di ieri, nella conferenza di vigilia della finale di Coppa Italia, tornando sul match con i rossoneri ha affermato: “Non siamo andati al massimo, c’erano tutti i presupposti per andare in finale senza spendere tutto”. Qualcuno potrà leggerla come una provocazione, come una dichiarazione “sbruffona”, purtroppo la realtà è che Sarri non abbia tutti i torti e, il mancato spirito di rivalsa dei rossoneri, porta i nostri avversari anche a dichiarazioni di scherno di questo tipo. Orgoglio, pazienza e spirito di rivalsa, i tre elementi che sono mancati al Milan e i tre argomenti alla base delle dure lezioni che questa settimana ha preso il Diavolo.

Concludo il nostro recap settimanale partendo dallo scorso mercoledì e, di conseguenza, dal duro confronto che si sarebbe tenuto a Milanello tra l’AD Ivan Gazidis ed il leader naturale dello spogliatoio rossonero Zlatan Ibrahimovic, molti lo hanno descritto come uno scontro molto duro, altri come un confronto forte ma equilibrato. La questione che più ha tenuto banco tra i giornali, è stata la frase che lo svedese avrebbe rivolto a Gazidis: “Non è più il mio Milan!”

Una frase forte, certamente impossibile da biasimare ma che, onestamente, qualora fosse stata davvero pronunciata, troverei assolutamente fuori luogo.

Che questo Milan non sia più quello vincente a cui era abituato il buon Zlatan, credo che sia innegabile, tuttavia, mi chiedo se Zlatan in Svezia, durante i suoi allenamenti con l’Hammarby, abbia perso la memoria riguardante gli accadimenti degli ultimi sei mesi, perché altrimenti sarebbe curioso chiedere a Ibra che Milan credeva di trovare, dopo che è stato contattato a 38 anni a pochi giorni da una storica e rovinosa sconfitta per 5-0 a Bergamo. Forse si è dimenticato del derby perso 4-2 dopo aver chiuso la prima frazione di gioco avanti per 2-0? Ha dimenticato anche l’ultima uscita dei rossoneri prima del lockdown? (1-2 in casa con il Genoa, ndr). Perché alimentare un già divampante incendio mediatico? Proprio lui che aveva promesso un aiuto durante la presentazione di quel 3 gennaio in cui venne accolto come un dio.

Dispiace se non siamo più quel club che puntava sempre in alto in Italia e in Europa, dispiace a me come a milioni di tifosi, Zlatan ci ha fatto tanto divertire, anche in questi mesi a 38 anni suonati con giocate estemporanee figlie del suo immenso talento, tuttavia, non vorrei che abbia anteposto qualche interesse di natura personale all’interesse del Milan, il club che tutti noi vogliamo come torni anche migliore di quello che ricordava lui. Se così fosse, probabilmente questo stesso club non deciderà nuovamente di ripartire da un 38enne della MLS, forse è opportuno che qualcuno glielo ricordi.

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