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Çakir e la malafede. Uefa: la ragione è dei fessi. Quante lezioni dai ragazzini di Pioli

di Luigi Matta

Era la nostra festa di ritorno a San Siro, tra le note del glorioso inno della Champions League. Sommersi dal boato di 35mila anime rossonere che sembravano 100mila. Quasi 5 milioni di spettatori davanti alla tv, per assistere alla notte di gala: quella in cui il Milan riapre il proprio tempio per ospitare un match della sua competizione simbolo. Qualcuno dirà festa rovinata. Beh, gli 0 punti del Diavolo nel gruppo B sono una condanna severa ma la festa, per ora, è solo rimandata. Era tutto perfetto martedì sera e si poteva respirare quella magia che ha accompagnato i tifosi rossoneri per una vita. Era perfetto il Milan, probabilmente il migliore messo in mostra da Stefano Pioli nei suoi quasi 24 mesi di gestione. Una squadra compatta, determinata, tatticamente cinica e perfetta difensivamente ed offensivamente.


Poi, al 29° minuto, l'episodio che inaugura una nuova partita. Franck Kessié, ammonito appena un quarto d'ora prima, entra in ritardo su Llorente e il signor Çakir - arbitro internazionale dal 2006, quando aveva 29 anni - non esita: secondo giallo per l'ivoriano e Milan in dieci uomini. Facciamo chiarezza: esulando da ogni congettura legata alla situazione contrattuale, l'ingenuità di Kessié è enorme e legata certamente all'inesperienza in certi palcoscenici. Banale e inutile il primo fallo al quarto d'ora che propizia il primo giallo, sciocco e avventato il secondo. Se prendessimo 10 arbitri, 5 direbbero che avrebbero scelto la medesima sanzione, altri 5 direbbero di no. Perché se la base è il regolamento, l'apice è costituito dalla celebre discrezionalità del direttore di gara.


Il cosiddetto metro di giudizio: il vero nervo scoperto di Çakir, al di là dell'espulsione che, in tutta onestà, ritengo corretta. Come dicevamo, inizia un'altra partita. Sì, perché il metro di giudizio dell'arbitro, minuto dopo minuto, diventa tutto fuorché omogeneo. Kondogbia tenta in tutti modi di emulare le gesta del collega Kessié, ma Çakir ha un occhio di riguardo. Ce l'ha anche verso Llorente, voglioso a tutti i costi di rimediare un cartellino, spintonato e mandato via dagli stessi compagni. Non ce l'ha verso Rebic che mette una mano sulla spalla del direttore di gara e incassa subito l'ammonizione.


Il Milan in 10 cede obbligatoriamente il pallino del gioco all'Atletico Madrid, soffrendo nelle coperture ma non in area di rigore: zona inaccessibile per i colchoneros fino a 10 minuti dalla fine, al netto della girandola di cambi del Cholo Simeone, che in successione porta ad assediare l'area del Diavolo Suarez, Carrasco, Correa, Joao Felix, De Paul, Griezmann e Lemar. A 6 minuti dalla fine, Romagnoli sbaglia la prima lettura della partita ma è quella fatale, perché la palla capita ad Antoine Griezmann, uno che non si fa pregare se c'è da sfoggiare talento. Il francese colpisce un pallone spiovente col suo pregevole mancino e fredda il connazionale Maignan. Pochi minuti prima, lo stesso portiere ex Lille, era stato colpito da Suarez in uscita ma niente cartellino. Nel primo minuto di recupero, un nuovamente strepitoso Tonali supera De Paul.


L'argentino ex Udinese colpisce la caviglia del numero 8 nello stesso modo in cui Kessiè si è guadagnato l'espulsione. Nessun giallo, anzi, nessun fallo. L'Atletico può continuare il suo assedio, con qualche tiro da fuori area ed una sola grande occasione di Suarez che non c'entra la porta. Poi, nell'ultimo minuto di recupero, arriva la prodezza di Çakir. Lemar va corpo a corpo con Kalulu e spinge col braccio il pallone sul braccio del francese. Fallo in attacco? Niente di tutto ciò. L'arbitro non vede nulla, ma i giocatori di Simeone si girano e protestano animatamente allora l'arbitro si decide: rigore per l'Atletico. VAR in versione Ponzio Pilato. Suarez trasforma e la meraviglia di Çakir è completa. Dalla discrezionalità alla malafede, il passo è brevissimo.


La Uefa ora è intenzionata a fermare il fischietto turco, e sui giornali, il titolo più comune è "La Uefa dà ragione al Milan". Ma la ragione è dei fessi, gli stessi fessi che ora hanno 0 punti e sono chiamati ad un'impresa per sperare di approdare agli ottavi. E allora, dalle parti di Nyon, si tengano la ragione. Non ne abbiamo bisogno, non manderemo certo qualcuno a parlare di sensibilità e di bidoni dell'immondizia al posto del cuore. Magari però ci risparmino retorica sul calcio meritocratico e sull'andare oltre. Perché martedì sera, è stato deliberatamente deciso che vincesse la squadra meno forte in campo.


Non c'è tempo per arrabbiarsi. O meglio, non c'è tempo per pensarci e la rabbia va sbollita velocemente. Si cresce anche da docce fredde come questa. Domenica sera, il Milan è chiamato ad una grande prova contro un altro avversario temibile: l'Atalanta. Ripartiamo dalle certezze e dalle nuove lezioni che ci hanno dato i ragazzini di Pioli: da Leao a Saelemaekers, da Brahim Diaz a Bennacer. Quelli che si diceva non fossero da Milan, quelli non all'altezza. Quelli che martedì sono stati fermati solo da un arbitro molto contraddittorio.

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