@VarBasten93
“Penso che un sogno così non ritorni mai più…” così cantava Domenico Modugno, che ringrazio per il titolo di questo articolo. Insieme alla nostalgia, fonti d’ispirazione.
Il Milan dei primi anni 10 del terzo millennio volava egregiamente; studiato, temuto e ammirato da chiunque avesse l’occasione di alzare gli occhi al cielo.
Era un aereo in viaggio continuo, rotte intercontinentali con un susseguirsi di decolli e atterraggi e un solo obiettivo: la conquista di trofei, se possibile di mondiale prestigio.
Vari e numerosi i piccoli grandi segreti intorno gli ingegneri che hanno costruito l’aereo e l’equipaggio che lo ha pilotato in modo eccellente.
Tra questi segreti, le ali: uniche, innovative, invidiate da tutti ma soprattutto con lo stesso marchio di fabbrica e la stessa bandiera raffigurata: quella brasiliana. Nate entrambe a giugno, rispettivamente nel 1970 e nel 1971 e messe in attività con tinte rossonere nel 2003 e nel 1999.
Marcos Evangelista de Moraes e Sérgio Cláudio dos Santos, dal 2003 al 2008 (Serginho in verità arrivò 4 anni prima a Milanello), insieme hanno spinto il Milan verso traguardi forse irripetibili, per qualsiasi squadra, in un così breve lasso di tempo: loro che erano rapidissimi in campo sono stati fulminei anche nel raggiungere i loro obiettivi con la prima squadra di Milano, vincendo tutto, anche se a fine carriera.
Intelligenza, non solo tattica. Educazione, non solo del piede. Serenità, non solo in campo.
L’allenatore di riferimento per quel periodo è ovviamente l’amato Carlo Ancelotti, di cui giustamente se ne è glorificato il lavoro; ma quanto hanno aiutato il tecnico di Reggiolo giocatori superbi tecnicamente, intelligenti tatticamente, responsabili e carismatici nello spogliatoio proprio come Cafu e Serginho?!
C’era una volta il Milan brasiliano. L’anima rossonera era un inno alle churrascherie, alla lambada e al carnevale; ovviamente non solo per loro due, ma senza essi l’orchestra non avrebbe ugualmente suonato. Il pragmatismo tattico italiano si mescolava con la fantasia brasiliana, con la gioia verdeoro. Anche nei momenti di difficoltà, bisognava incantare avversari e tifosi con giocate rapide ed imprevedibili. Sugli spalti si doveva respirare l’emozione dell’allegria di Mr. Sorriso Cafù e si attendeva da un momento all’altro lo scatto irrefrenabile del Concorde Rossonero a sinistra o dello stesso Pendolino a destra.
Che belli i tempi di Cafu e Serginho, le fasce erano tutte loro e gli attaccanti correvano la metà di quanto corrono adesso ma soprattutto segnavano il doppio (il triplo?!). Ne sanno qualcosa Shevchenko e Inzaghi, Crespo e Tomasson. Ne sanno qualcosa e ne sanno ancora oggi gli avversari che studiavano metodologie per fermare le frecce brasiliane del Milan, spesso senza riuscirci.
Era, quello che ora sembra un lontanissimo ricordo, il 18 Maggio 2008. Il Milan batte l’Udinese 4-1 all’ultima giornata di campionato e con gli occhi lucidi Serginho e Cafu salutano San Siro: era la loro ultima gara in maglia rossonera.
I tifosi, ovviamente, erano focalizzati nel ricordare le loro semplici (ma ciò che nel calcio è semplice non è banale) e fondamentali gesta in campo; non potevano immaginare che il loro amato Milan sarebbe rimasto irrimediabilmente privo delle sue ali, non avrebbero potuto sapere che il loro amato Milan, salvo sporadici viaggi nazionali, non sarebbe più tornato a volare e incantare, non sarebbe più tornato a sorvolare le vette più alte d’Europa e del Mondo.
Serginho, prova a prenderlo
D’altronde, con un passato da centometrista alle spalle (da ragazzo sembrava preferire l’atletica leggera al calcio e ha fatto corsa fino a 21 anni, iniziando tardissimo la sua carriera di calciatore), il ruolo di Serginho non poteva che essere quello di esterno, capace di coprire tutta la fascia con eccezionale velocità, sia in chiave difensiva che offensiva. Ma grazie alla sua disponibilità ed alla sua elasticità mentale ha anche offerto una valida alternativa sulla trequarti a Kakà e Rui Costa, Carletto ringrazia ancora.
Tognaccini non ha mai avuto dubbi: «Il calciatore più veloce della nostra storia è sicuramente Serginho, in campo e anche fuori. Era il primo a cambiarsi ed andare a casa».
Cafu, il sorriso infinito, non per forza dovuto
Cresciuto in un quartiere povero di San Paolo, sin da ragazzino Marcos cerca di sopperire alle difficoltà quotidiane dedicandosi al calcio; si ribattezza con il soprannome di Cafu, in onore di Cafuringa, ala brasiliana idolo del papà; Marcos ha vinto tutto, per approfondire basta googlare il suo nome. Un bel colpo per chi come lui, inizialmente, era stato scartato dalla sua prima squadra brasiliana perché ritenuto ancora non idoneo. Ma con il sorriso è andato avanti e non si è arreso. Non stupisce che nel 1994, dopo anni di successi tra i quali la Coppa Intercontinentale contro il Milan, Cafu viene eletto Calciatore sudamericano dell’anno.
Una vita quindi non proprio da predestinato, eppure sempre sorridente. Ci ha sempre dato un messaggio: con serenità ed allegria si affrontano meglio le avversità del campo e della vita. Sicuramente, avrà fatto tesoro di questa sua encomiabile peculiarità anche l’anno scorso per la prematura morte del suo primogenito; stroncato da un infarto mentre giocava a calcio, la sua più grande passione, ereditata dal papà.
Cafu e Serginho hanno lasciato il segno in Italia, in Europa, nel Mondo.
Il Presidente Berlusconi avrebbe voluto creare un’Accademia per terzini a Milanello: Rettore Maldini, vicerettore Tassotti, professori di prestigio dal Brasile.
Peccato non si sia mai realizzata, non me ne vogliano i successori ma le conseguenze le viviamo ancora oggi.
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