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GOLDEN BOY FOREVER

di Massimo Volpato





Nello Sport, come nelle vita, esistono delle coincidenze a cui non dai peso, ma che se ci ripensi ti fanno riflettere. Siamo a fine maggio 1959, ed il Milan e la Fiorentina sono in lotta per la conquista dello Scudetto (che per il Club rossonero potrebbe essere il terzo in cinque anni), la Fiorentina cade 2-0 ad Udine, facendo sì che il Milan, vincitore per 4-0 a San Siro sul Genoa, porti a tre le lunghezze di vantaggio sui viola a tre sole giornate dal termine del Campionato.

Il turno infrasettimanale di giovedì 28 maggio, non modifica la situazione, la viola vince (4-0) sul Torino oramai condannato alla retrocessione e i rossoneri vincono in trasferta contro il Padova, del “Paron” Nereo Rocco solo grazie ad un’autorete. Quindi con una vittoria alla penultima giornata contro l’Udinese il Milan vince il settimo Scudetto della sua Storia.

Turno che si disputa martedì 2 giugno nel quale i rossoneri, non hanno pietà dei friulani, e vincono 7-0. Ma, mentre i tifosi rossoneri festeggiano sul prato di San Siro lo scudetto appena vinto, allo Stadio di Alessandria si è verificato un evento passato in inosservato, ma che in futuro ha la sua importanza, soprattutto per i tifosi rossoneri.

Accade, che nella partita tra i grigi piemontesi oramai salvi, e l’Inter, il tecnico locale Luciano Robotti su consiglio del suo fedele vice, Franco Pedroni, fa esordire un non ancora 16enne Gianni Rivera, dopo aver ottenuto apposita deroga da parte della Federazione italiana. “Tocca a te Gianni. Non riusciamo a trovare un centravanti che riesca a fare goal. Prova da punta e speriamo bene.” Queste sono le parole che il vice allenatore dice al piccolo Gianni poco prima dell’esordio.

Marcato dal mediano interista Gianni Invernizzi, il ragazzino gioca un’ottima partita, a fine partita la stampa inizia ad interessarsi al giovane calciatore, e scopre che è già stato acquistato dal Milan neo Campione d’Italia.

L’artefice del passaggio in rossonero è proprio il vice allenatore della squadra piemontese Pedroni, con un passato di quattro anni in rossonero da giocatore prima di finire la sua carriera all’Alessandria, che ha intravisto le qualità di Rivera e subito lo ha segnalato al direttore tecnico del Milan Viani. Il quale lo convoca per un provino a Linate alla presenza del tecnico Bonizzoni e di Pepe Schiaffino, davanti ai quali, per nulla intimorito, Gianni conferma le proprie qualità tanto da divenire, a tutti gli effetti, un giocatore del Milan che lo acquista in comproprietà, per lasciarlo però ancora un anno a maturare ad Alessandria.

La tempistica di Pedroni è determinante per le sorti del Club di via Turati, poiché sul ragazzino ha messo gli occhi l’Inter, mentre in casa rossonera il Presidente Rizzoli si lascia andare ad un “ho speso un sacco di soldi per acquistare un ragazzino di cui non conosco neppure il nome, sia benedetto quel Gipo Viani

Il presidente ha sicuramente modo di rendersi conto che sono soldi spesi bene, anche se nell’estate seguente, deve sborsare altri 65 milioni di vecchie lire per riscattare la seconda metà del cartellino, una cifra considerevole per un ragazzo non ancora 17enne.

Al suo primo Campionato da titolare ha confermato le qualità tecniche, ed anche se l’Alessandria a fine stagione retrocede colleziona 25 presenze con 6 reti all’attivo, la prima delle quali messa a segno nella gara interna contro la Sampdoria il 25 ottobre 1959, fa sì che a Rivera è assegnato il premio quale miglior giovane del Torneo, ed è selezionato per la Nazionale Olimpica in vista dei Giochi di Roma 1960 affidata a Nereo Rocco.

Ed è proprio il tecnico triestino ad approdare al Milan nell’estate ’61 dopo che Rivera, nella sua prima stagione in rossonero, in cui era stato chiamato a rilevare la pesante eredità di Schiaffino, si è fatto valere nelle 30 gare giocate con 6 reti all’attivo, andando a segno in entrambe le sfide contro la Juventus e vinte dai rossoneri (4-3 a Torino, 3-1 a San Siro), che però per ironia della sorte si piazzano alle spalle dei bianconeri con quattro punti di distacco.

Rocco è un po’ titubante nel dover affidare le chiavi del gioco ad un ragazzo di appena 18 anni per una squadra che intende puntare al titolo, ma è il primo a ricredersi dopo che, in accordo con Viani, l’inserimento del giovane Rivera ha conferito all’undici rossonero quell’equilibrio tattico che l’avventato acquisto in estate dell’inglese Jimmy Greaves ha messo in discussione.

Fatto tornare l’estroso attaccante nel Regno Unito, e sostituito con Dino Sani consente a Rivera di agire come rifinitore per le punte liberando il numero dieci rossonero dai compiti di contenimento. E la prima gara con il brasiliano in campo è un 5-1 rifilato a San Siro ai Campioni in carica della Juventus, con poker di Altafini e sigillo dello stesso Rivera, non è altro che il trampolino di lancio per la conquista dell’ultimo Scudetto dell’era Rizzoli di un Milan che da quella partita perde solo il derby di ritorno 0-2 contro l’Inter, e conclude la stagione con 5 punti di vantaggio sui cugini neroazzurri.

Ma un altro importante appuntamento attende Rivera la stagione seguente, in cui il Milan raggiunge per la seconda volta la Finale di Coppa dei Campioni, il 22 maggio 1963 contro i detentori del trofeo del Benfica Lisbona a Wembley. Quel giorno e quella partita rappresentano per lui la prima vera svolta della sua carriera, il passaggio dall’età della spensieratezza a quella della maturità sportiva, in quanto il suo modo di stare in campo, la naturalezza con cui serve i compagni, e ovviamente, il successo per 2-1 grazie ad una doppietta di Altafini fanno sì che il giorno dopo i giornali inglesi, inventano per lui il soprannome che lo segue per tutta la sua carriera: Golden Boy.

Un anno, il 1963, che potrebbe finire in gloria per il 20enne alessandrino, perché arriva secondo nella classifica del Pallone d’oro, i giurati gli preferiscono solo la leggenda sovietica Lev Jascin.

Gli anni successivi sono contrassegnati dall’addio di Rocco al Milan, che aveva dato la sua parola al Presidente del Torino Orfeo Pianelli prima del trionfo di Wembley, e da problematiche societarie, di cui la squadra inevitabilmente ne risente. Rivera continua a dare il suo positivo contributo alla squadra, ma senza una adeguata conduzione tecnica e societaria è difficile ottenere risultati.

Con il ritorno di Rocco a Milanello nell’estate ’67, il Golden Boy ed il Milan ritornano ad alzare i trofei. Iniziano con la Coppa Italia contro il Padova a metà giugno 1967, il Milan si rende protagonista, l’anno seguente, di una sensazionale stagione che lo porta a laurearsi Campione d’Italia con quattro turni di anticipo. Ed è proprio Rivera a segnare, a 2’ dal termine, la rete dell’1-0 contro il Brescia che dà ai rossoneri la matematica certezza del titolo. Allo scudetto segue la Coppa delle Coppe superando per 2-0 in finale i tedeschi dell’Amburgo grazie ad una doppietta di Hamrin.

E’ anche la stagione in cui si afferma un 21enne Pierino Prati, che può beneficiare degli assist del suo Capitano, tanto da laurearsi Capocannoniere con 15 reti, seguito da Rivera e Sormani con 11 ed Hamrin a quota 8, per un attacco rossonero capace di andare 53 volte a segno in campionato.

Qualità di rifinitore che l’oramai quasi 26enne Rivera evidenzia ancor più in occasione della Finale di Coppa dei Campioni dell’anno successivo, quando ne regala due per la personale tripletta di Prati nel 4-1 rifilato al “Santiago Bernabeu” all’Ajax di un giovanissimo Cruijff.

Chi aveva dei dubbi sul suo carattere debole, deve ricredersi nella volata verso la porta dell’Estudiantes inseguito da difensori argentini con intenzioni tutt’altro che pacifiche verso il giocatore, per andare a dribblare anche l’estremo difensore argentino e depositare in rete la palla del momentaneo 1-0 nella “Battaglia della Bombonera” del 22 ottobre 1969 che consegna al Milan (che vince per 3-0 all’andata) la sua prima Coppa Intercontinentale, nonostante la sconfitta per 1-2 patita in Sudamerica.

Stavolta non ci sono dubbi, i giudici di France Football designano il Golden Boy quale vincitore del Pallone d’oro 1969, primo italiano a riuscire nell’impresa.

Perso lo Scudetto ’70 a beneficio del Cagliari, e l’anno seguente si fa rimontare dall’Inter, la formazione rossonera si vede sfuggire sul filo di lana anche i titoli del 1972 e ’73, durante i quali dapprima Rivera si vede comminare una pesante squalifica dopo una conferenza stampa al termine dell’incontro Cagliari-Milan 2-1 del 12 marzo 1972 ,deciso da un rigore di (Riva a 3’ dal termine decretato dal Direttore di gara Michelotti) in cui attacca senza mezze misure il sistema e la classe arbitrale, “Sono cose che tutti sanno, è dunque ora che si dicono. Sta scritto da qualche parte che il Milan non debba raggiungere la Juventus. È il terzo scudetto che ci fregano, così non si può andare avanti. Se lo avessimo saputo non avremmo nemmeno partecipato al campionato, i casi sono due: o io mi sono inventato tutto e allora mi squalificano a vita, oppure riconoscono di aver sbagliato le bisogna cambiare, sostituire chi non è all’altezza” e quindi, l’anno seguente, prendendosela con Concetto Lo Bello per la sua direzione in Lazio-Milan 2-1 che vede l’arbitro siracusano annullare a Chiarugi la rete del 2-2.

In entrambi i casi, il Milan perde lo Scudetto per un punto, ed a poco valgono come consolazione le vittorie della Coppa Italia e di una seconda Coppa delle Coppe nel 1973 (quattro giorni prima della “Fatal Verona” del 20 maggio 1973). Sfumate queste occasioni, Rivera vive gli anni bui di metà anni ’70 con un Milan incapace di ritrovarsi, non senza creare una nuova polemica con il Presidente Buticchi che vuole cederlo al Torino in cambio di Claudio Sala, su suggerimento del tecnico Gustavo Giagnoni. E, dopo aver addirittura rischiato la retrocessione nel 1977, al termine di una sciagurata Stagione con Vittorio Duina presidente e Pippo Marchioro allenatore (poi rilevato da Rocco e resa meno amara dalla conquista della Coppa Italia superando in Finale 2-0 l’Inter.

Ma il cielo torna a farsi roseo sulla Milano rossonera, ciò dipende anche dall’approdo in panchina di Nils Liedholm, che ha visto l’esordio del 17enne Rivera nel 1960, sua ultima stagione da calciatore e lo rivede ora con indosso la fascia di Capitano, un cerchio che si chiude e nel modo migliore.

Con il tecnico svedese alla guida, il Milan rialza la testa e, dopo un buon torneo nella stagione 77/78, concluso al quarto posto e nel quale Rivera non salta neppure una partita, andando anche 6 volte a segno ecco che, finalmente, anche i tifosi rossoneri possono festeggiare la tanto attesa stella del decimo scudetto l’anno seguente. Al quale il contributo di Rivera è marginale ma quanto decisivo.

Sembra una contraddizione, ma è così, costretto dagli acciacchi dell’età a scendere in campo in sole 13 occasioni (in cui il Milan esce una sola volta sconfitto, il 19 novembre ’78 a Torino contro la Juventus, nella gara famosa per il fallo di Tardelli sul Capitano dopo 2” dal calcio d’inizio), Rivera rientra in squadra dopo 15 giornate di assenza il 22 aprile ’79, a quattro turni dalla conclusione, con il Milan primo in Classifica con due punti (38 a 36) di vantaggio sul sorprendente Perugia di Ilario Castagner.

E così si arriva alla sfida con il Bologna del 6 maggio 1979, al Milan basta un punto per vincere il campionato, una gara dall’esito scontato che si conclude sullo 0-0 ma famosa perché vede Rivera un’ultima volta protagonista, in questa occasione come oratore più che giocatore, in quanto il pubblico, traboccante, aveva invaso dei settori inagibili dello stadio San Siro per problemi strutturali.

E quindi, è lui che deve sobbarcarsi anche quest’ultimo onere a beneficio della sua squadra, ovvero armarsi di microfono sino a convincere i tifosi a liberare gli spazi per poter consentire la disputa della gara, al termine della quale può festeggiare il suo terzo Scudetto, quello della “Stella” che non può che dedicare alla memoria del suo padre putativo Rocco, mancato il 20 febbraio dello stesso anno.

Rivera conclude la carriera una settimana più tardi, indossando per la 501esima volta in Campionato la maglia rossonera nella gara dell’Olimpico contro la Lazio, mentre a livello complessivo le sue presenze sono ben 658, una cifra all’epoca record, poi superata da Paolo Maldini, Franco Baresi ed Alessandro Costacurta, e segna 164 reti in totale che lo collocano alle spalle di Gunnar Nordahl ed Andriy Shevchenko, come cannonieri di tutti i tempi del Milan.

Questo è Rivera che, sommate anche le 26 partite giocate con l’Alessandria, tocca 527 presenze in serie A, un Personaggio dentro e fuori dal campo, mai banale.

Ed il giudizio finale non possiamo che lasciarlo alle parole del suo più grande estimatore, il “Paron” Rocco, il quale dice: “E’ vero, non corre molto, ma solo Rivera è in grado, con una sua invenzione, una giocata che gli altri neppure sognano, di capovolgere l’esito di un incontro, sia esso al primo come al novantesimo minuto!!

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