di Massimo Volpato
Quando si parla di Liedholm, stiamo parlando di un vero “pezzo di Milan”, di un monumento che ha rappresentato qualcosa di indelebile per la storia della nostra società. Il fatto di aver vinto cinque degli scudetti del Milan (quattro da giocatore ed uno da allenatore) è solo uno dei suoi primati.
Il Barone è stato il perno del mitico Gre-No-Li, il famoso trio svedese che trascinò alla vittoria di 4 scudetti il Milan tra la fine degli anni Quaranta ed i primi anni Cinquanta. E’ stato il primo di una meravigliosa stirpe di Capitani che ha fatto la storia del Milan dal dopoguerra in poi: Nils Liedholm, Cesare Maldini, Gianni Rivera, Franco Baresi e Paolo Maldini. Il primo di cinque giocatori monumento, due dei quali (Baresi e Paolo Maldini) sono stati lanciati in serie A proprio da Liddas. E’ l’allenatore che riuscì a regalare al Milan lo scudetto più desiderato e prestigioso, quello della Stella, riuscendo a mantenere la promessa fatta al suo collaboratore tecnico, Nereo Rocco, che più di ogni altro ci teneva a quel trionfo e che purtroppo non riuscì a godersi quel momento in quanto il destino se l’ho porò via qualche mese prima. Nel maggio del 1979 alzando lo sguardo al cielo dirà “Caro Paròn, te l’avevo detto che ci avremmo pensato noi…”.
E’ stato, e resterà per sempre, il primo allenatore del presidente più vincente della storia del Milan, Silvio Berlusconi. Col nuovo patron rossonero non fu molto fortunato a livello di risultati, ma è innegabile che il Milan berlusconiano abbia beneficiato dei suoi insegnamenti tattici, tanti sostengono che abbia gettato le basi per quel Milan vicente.
Liedholm è stato uno dei pochi personaggi della storia del calcio a non subire, in quasi sessant’anni di carriera, un solo coro contro o un insulto: amato dai tifosi milanisti, rispettato da tifosi, giocatori e tecnici delle squadre avversarie.
Come calciatore era elegante e corretto al tempo stesso, nonostante fosse, anche, un instancabile corridore: pensate che nelle 359 presenze ufficiali in serie A con la maglia del Milan non è mai stato ammonito. Da allenatore ebbe sempre uno stile ed un aplomb tipicamente scandinavo, un garbo innato, un’umanità, una lealtà, un’eleganza che non lo abbandonò mai, anche nelle circostanze più impensabili. A chi gli chiedeva quale fosse stata la sua miglior partita, rispondeva “Quella in cui marcavo Alfredo Di Stefano”, ed a chi gli faceva notare che in quella partita “l’argentino aveva segnato tre gol” lui rispose “sì, ma ha toccato solo tre palloni”! Ed ancora quando disse “abbiamo preso quel jocatore perché sa fare tutto: jocare a destra, a sinistra, al centro, stare in panchina o in tribuna”. Al Milan gioca per 12 stagioni consecutive, diventando il Capitano che trascinò il Milan alla conquista di quattro scudetti, due Coppe Latine ed una finale di Coppa dei Campioni (persa ai supplementari contro il Real Madrid nel 1958).
Centrocampista di classe purissima, dotato di una grandissima precisione nei passaggi, tanto che divenne celebre l’aneddoto secondo cui “Una volta San Siro mi tributò un applauso lungo cinque minuti: avevo sbagliato un passaggio dopo anni. La mia prima stecca alla Scala del calcio”. Tra i suoi ricordi più belli, da ricordare che disputa, da capitano, la Finalissima della Coppa del Mondo con la maglia della Svezia contro il Brasile, segnando tra l’altro il gol del provvisorio 1-0 (vincerà il Brasile 5-2).
La carriera da allenatore cominciò poco dopo che ha smesso di giocare e lo fece proprio alla guida del suo Milan, squadra che allena in tre riprese (dal ‘63 al ’66, dal ’77 al ’79, dal ’84 al ’87) e con cui riesce a conquistare uno scudetto. Altrettanto belle le avventure da tecnico con la Roma (dal ’73 al ’77, dal ’79 al’84, dal ’87 al ’89 ed infine nel ’97), squadra con cui conquista uno scudetto (1982/83) ed una finale di Coppa Campioni persa ai rigori col Liverpool. Nelle sue squadre portò sempre qualcosa di nuovo e di rivoluzionario: col Milan riuscirà a vincere un campionato giocando senza punte, sfruttando il tourbillon sulla tre quarti di giocatori di qualità che si inserivano in zona gol grazie al movimento instancabile di Chiodi; con la Roma sperimentò con successo il sistema di gioco che lo rese famoso, la “zona lenta a ragnatela” sul modello di quella zona difensiva tipicamente sudamericana. Ci si difendeva tenendo la posizione e non più l’uomo fisso, la chiusura degli spazi ed una ragnatela di passaggi (“se tieni il pallone per 90 minuti, sei sicuro che l’avversario non segnerà mai un gol”).
Ebbe il coraggio di lanciare in serie A dei giovani promettenti che sarebbero diventati dei campioni (Antognoni, Baresi, Maldini, Giannini e Peruzzi su tutti), così come fu molto abile a far rendere al massimo dei giocatori che erano già avanti con gli anni e che sembravano sul viale del tramonto. Oltre alle competenze, fu un personaggio straordinario ed unico che riuscì, col suo garbo ed il suo fine senso dell’umorismo, a gestire abilmente tutti i gruppi di calciatori che ha allenato e che ne conservano un grande ricordo. Questo era Liedholm, l’uomo del calcio che vanta il maggior numero di tentativi di imitazioni, senza che nessuna sia mai riuscito ad avvicinarsi. A pensarci bene c’è qualcuno che nei modi e nello stile lo ricorda abbastanza, e cioè Carletto Ancelotti, guarda caso uno degli allievi prediletti del grande Barone Liddas!
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