di LM
Il Milan, dopo appena sette giornate di campionato, ha esonerato Marco Giampaolo. La dirigenza rossonera, approfittando della sosta per le Nazionali, inizia ad infittire i contatti: urge un nuovo allenatore. Il candidato numero 1 è Spalletti, reduce dall’esonero all’Inter. Il tecnico di Certaldo, ben disposto a sposare il Diavolo, appare come il profilo perfetto. L’ex Inter e Roma, infatti, ha affrontato svariate volte situazioni complesse, inoltre, nelle ultime quattro stagioni in Serie A, non ha mai fallito l’accesso alla Champions League. L’uomo giusto per il Milan, tuttavia, la trattativa si infrange su uno scoglio insormontabile: Spalletti è ancora legato ai nerazzurri, con un contratto fino al 2021. Il tecnico chiede un’intera annualità, vale a dire, circa 5 milioni di euro, a titolo di buonuscita. La società nerazzurra, nelle figure di Steven Zhang e Giuseppe Marotta, non intende accontentare il suo ex allenatore. Al termine di un muro contro muro, protrattosi per diverse ore, il negoziato salta definitivamente. Il Milan non può aspettare, l’Inter non trova un compromesso con Spalletti. La dirigenza rossonera, data la non fattibilità dell’operazione, vira su un altro ex Inter: Stefano Pioli. Il tecnico parmense, al momento della chiamata del Milan, era vicino alla Sampdoria, dopo l’esonero di Eusebio Di Francesco, tuttavia, la preferenza va al Diavolo. Il 9 ottobre, tramite un comunicato ufficiale, il Milan annuncia l’arrivo di Pioli.
La scelta del club, complici i risultati negativi, crea una vera e propria “sommossa mediatica”. Prima che Pioli possa esordire a Milanello, l’hashtag #PioliOut, ha già raggiunto le tendenze mondiali di Twitter, piazzandosi al secondo posto. Una vera e propria rivolta social che, malauguratamente, non fa sconti a nessuno. Boban e Maldini, imputati della “disgraziata” scelta di Giampaolo, sono i primi capri espiatori, seguiti dall’AD Ivan Gazidis e, inevitabilmente, dall’azionista Elliott, incolpato sia di non avere un progetto credibile, né di voler riportare il Milan ai vertici. L’avventura di Pioli, già complessa, comincia nella peggiore situazione ambientale possibile. Nel corso della presentazione, il tecnico si mostra ottimista: “Subentro a 31 partite dalla fine, c’è spazio per fare bene. Il tempo può essere nostro alleato”, aggiungendo: “Siamo il Milan e lotteremo per raggiungere i risultati migliori. Abbiamo un nome glorioso, le difficoltà ci sono e vanno affrontate tenendo duri nei momenti difficili, lavorando con intensità. Dobbiamo diventare una squadra unita il prima possibile, dobbiamo puntare alla Champions League”.
Parole di positività e ottimismo che, quantomeno, tentano di raffreddare il clima attorno all’ambiente. Purtroppo, però, il campo non è benevolo o, perlomeno, non quanto i buoni propositi dell’allenatore. L’esordio di Pioli, datato 20 ottobre 2019, vede i rossoneri ospitare il Lecce, nel posticipo dell’ottava giornata. Il tecnico ritorna al 4-3-3 di gattusiana memoria: si rivede in campo Paquetà, nel ruolo di mezz’ala. Çalhanoglu e Suso, dopo vari esperimenti di Giampaolo, tornano ad agire come esterni alti. Pioli, come il suo predecessore, si affida a Biglia in regia, dopo averlo avuto come capitano alla Lazio. Piatek, uno dei più negativi, finisce in panchina, a vantaggio di Rafael Leao che, di contro, nelle ultime due uscite, contro Fiorentina e Genoa, è stato il migliore in campo, trovando anche il primo gol in Serie A(contro la Fiorentina, ndr).
I rossoneri partono forte: proprio Leao ha due ottime occasioni ma, purtroppo, non è abbastanza freddo sotto porta. Al 20’ Çalhanoglu sblocca il match, con un pregevole destro in girata sul primo palo. Il Milan è più pimpante e, seppur mostrando limiti tecnici, sembra in grado di controllare il match. Nel secondo tempo, però, tornano le “ombre” del Diavolo. Il Lecce prende coraggio. Al 52’ Mancosu va via in area, Conti lo tampona. Il numero 8 giallorosso va giù, poteva starci il rigore, tuttavia, l’arbitro Pasqua non ritiene grave il contatto e, fortunatamente, grazia i rossoneri. Ma, come si suol dire: la fortuna ti salva una volta sola. Dieci minuti dopo, ancora Conti protagonista negativo. Il terzino ex Atalanta, ingenuamente, intercetta un cross col braccio. Stavolta è rigore per il Lecce. Sul dischetto va Babacar, Donnarumma para il suo secondo rigore stagionale, tuttavia, l’attaccante senagalese è lesto e, in tap-in, segna il gol del pareggio. Pioli cerca la riscossa: al 67’ doppio cambio, fuori Leao e Paquetà, dentro Piatek e Krunic. All’82’ il Milan ritrova il vantaggio: Çalhanoglu sfugge sulla destra, cerca e trova Piatek in mezzo all’area, il polacco è rapido nella deviazione. 2-1 per il Milan. Troppa fatica e, ancora una volta, troppi errori, però, sembra che almeno i tre punti arrivino. No, purtroppo no. Al 92’ Calderoni, terzino sinistro, fa partire un bolide da fuori area, Donnarumma non ci arriva e, sventuratamente, arriva la beffa leccese. Finisce così: 2-2.
Pioli comincia male. L’ambiente è ancora più inferocito. Il calendario non aiuta: ora arrivano Roma, Lazio, Juventus e Napoli in 5 partite, con la Spal tra i due impegni “romani”. Il Diavolo incappa in tre sconfitte, una vittoria e due pareggi. L’unica vittoria, come prevedibile, arriva contro la Spal in casa, la sera di Halloween, grazie ad una precisa punizione di Suso che, partito dalla panchina, risolve un match che navigava verso lo 0-0. Contro le romane, il Milan perde entrambi i match per 2-1. Poi 0-1 in trasferta contro la Juventus e, infine, 1-1 casalingo contro il Napoli. I numeri, già disastrosi con Giampaolo, non migliorano: alla 13° giornata, Il Milan è già distante 11 punti dalla Champions.
Alla 14° di campionato, il Milan va in trasferta a Parma. Campo difficile. Partita abbastanza tattica: molta frenesia ma pochi spunti. I rossoneri, nei minuti finali, trovano il gol vittoria, grazie ad un sempre più incisivo Theo Hernandez. Nel match successivo, nuovamente in trasferta però a Bologna, il Milan ottiene un altro successo, vincendo per 3-2. Di nuovo Theo Hernandez in gol, così come Piatek e Bonaventura. Nonostante i soliti errori, il Milan comincia a vincere e, al di là dei suoi limiti, mostra un gioco più propositivo. Si intravede qualche flebile luce, qualche piccolo passo in avanti. Purtroppo dura poco.
Nella seconda metà di dicembre 2019, il Milan affonda e, inevitabilmente, piomba nuovamente nell’oblio della sua spirale negativa. Il 15 dicembre, in casa col Sassuolo, i rossoneri non vanno oltre lo 0-0. Nel giorno della celebrazione dei suoi 120 anni, il Diavolo si perde, ancora una volta, tra sfortuna e ingenuità grossolane, come il gol a porta vuota fallito da Bennacer. I passi avanti, notati nelle settimane precedenti, sono svaniti all’improvviso, come non ci fossero mai stati. Il destino però, quando vuole, sa essere ancora più crudele. Il pareggio con i neroverdi, infatti, è solo il preludio al “dramma” sportivo. Alle 12:30 del 22 dicembre, nell’anticipo contro l’Atalanta, il Milan incassa una tremenda sconfitta, la peggiore degli ultimi 21 anni. 0-5. Umiliante, straziante, crudele. All’uscita dal campo, c’è solo un’immagine che, in tutta la sua forza, può rappresentare il momento rossonero: Donnarumma in lacrime, senza parole, né conforto. Il Milan lascia, sotto l’albero di Natale dei suoi tifosi, un terribile dono. Pioli, come Giampaolo, è affondato insieme alla sua difettosa nave. In 10 partite, il tecnico ex Inter, verosimilmente, ottiene una media punti più bassa del suo predecessore. Sembra un loop senza fine, senza replica, senza ancora di salvezza. È in arrivo un nuovo terremoto e, tra le tante dicerie, torna in auge un vecchio nome. Un vecchio alleato che, come i tifosi del Milan, non riesce più ad assistere a tale scempio. Un alleato speciale: Zlatan Ibrahimovic.
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