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LA FRAGILITA' DI UN CAMPIONE

Aggiornamento: 3 lug 2023

di Massimo Volpato




Il 25 novembre 1992 è un mercoledì, il pubblico infreddolito esce da San Siro andando incontro alle proprie abitudini di vita. Alcuni hanno la macchina vicino allo stadio, altri prendono la metrò da piazzale lotto.

Chi ha il cuscino rossonero in mano, chi nasconde il naso nella calda sciarpa rossonera per scaldarsi un po’. Eppure il tifoso rossonero al termine di Milan – Goteborg di Coppa Campioni, ha la sensazione di aver provato un brivido caldo, sente nel corpo il cuore caldo gonfio di emozioni date da un qualcuno.

Ci ha pensato un ragazzo di 28 anni, all’anagrafe di nome fa Marcel, ma italianizzato in Marco dal padre perché la nonna paterna non riusciva a pronunciarlo in maniera corretta.

Utrecht è una città collocata al centro dei Paesi Bassi, una città come tante altre nel paese dei tulipani e le biciclette, la città dove Van Basten ha tirato i primi calci al pallone, giocando in alcuni piccoli club della sua città, crescendo e formandosi fin da bambino in un clima di euforia calcistica non da poco, sono gli anni del calcio totale dell’Ajax e dell’Olanda di Cruijff, insomma un modo tutto nuovo d’intendere il calcio.

Marco arriva all’Ajax a 17 anni e s’impone molto in fretta, in sei anni segna caterve di gol e fa incetta di titoli nazionali con i lancieri. E’ durante il periodo ad Amsterdam che iniziano i primi problemi fisici (ed è qui che subisce il primo intervento alla caviglia) ma questo non impedisce di ricevere la chiamata che gli cambierà la vita, quella del Milan.

“Adriano vai e colpisci”, dice il Cavaliere al fido Galliani in partenza per Amsterdam assieme ad Ariedo Braida, per far firmare il contratto all’olandese. E così che Marco Van Basten arriva a Milano, un acquisto che passa più in silenzio rispetto a quello del connazionale Gullit.

L’inizio del nuovo corso è negativo, il Milan assorbe con fatica le idee rivoluzionarie del nuovo mister Sacchi, ma Van Basten parte subito forte segnando all’esordio a Pisa, su rigore, ma poi fa subito i conti con la caviglia ed è costretto ad operarsi e ad affrontare una lunga degenza fatta di riabilitazione e sofferenza.

Rientra in tempo per la volata finale dello scudetto 88, i rossoneri effettuano una rimonta pazzesca culminata con la vittoria del 1 maggio a Napoli per 3-2, il cigno subentra nella ripresa e firma la terza rete rossonera suggellando una prestazione sensazionale della squadra.

Un trionfo che sommato a quello dell’Europeo vinto con la nazionale lo spinge alla vittoria del Pallone d’oro, il primo di tre titoli.

Ma il meglio per Van Basten deve ancora arrivare, e la stagione successiva entra nella storia. Il campionato non è fortunato come il precedente ma i rossoneri avanzano in coppa e il Milan arriva fino alla finale.

“Dopo aver visto questo Milan, il calcio non potrà più essere lo stesso” titola il prestigioso quotidiano l’Equipe per celebrare il trionfo rossonero. Van Basten è il primo violino di un’orchestra sensazionale, ammutolisce il Bernabeu con una rete incredibile, segna nel famoso 5-0 di San Siro sul Real nel ritorno e griffa la finale con una bellissima doppietta. A fine anno France Football lo premia con il secondo pallone d’oro.

Anche nel 1990 i ragazzi di Sacchi vincono la Coppa Campioni, Supercoppa Europea e Coppa Intercontinentale, bissando la tripletta europea come mai nessuno prima di loro era riuscito, Marco segna meno rispetto alla stagione precedente, ma rimane sempre il primo violino di una squadra stupefacente.

“Sacchi e Capello sono due grandi allenatori, ma personalmente preferisco Capello. Lasciava spazio all’inventiva dei giocatori, ci dava la possibilità d’improvvisare. Con Sacchi ogni mossa era studiata in modo ossessivo.” Questo era il pensiero dell’olandese, quando gli chiesero la differenza tra i suoi due allenatori rossoneri.

Con l’arrivo di Capello in panchina, coincide con il ritorno di Van Basten ad altissimi livelli, meno imbrigliato tatticamente e più libero nella testa, complice anche una serenità famigliare ritrovata con la moglie Liesbeth e alla nascita delle figlie Angela e Rebecca, porta il Milan a vincere lo scudetto 1992 da imbattuto vincendo la classifica cannonieri con 25 gol.

Il 1992 è la seconda vetta più alta della sua carriera dopo il biennio 88/89 e si aggiudica il terzo pallone d’oro, della sua breve carriera eguagliando i suo mito Johan Cruijff e Platini.

Ma la caviglia, quella maledetta caviglia, è lì che non gli vuole dare pace, e Marco decide di tornare sotto i ferri per l’ennesima volta. Nella sua testa vorrebbe rientrare per giocare la parte finale e aiutare il Mister e la squadra ad ottenere altri trionfi.

Marco riesce a rientrare per il finale di stagione, ma non è più il giocatore che abbiamo ammirato quella sera di fine novembre, e a 28 anni il 26 maggio 1993, gioca la sua ultima partita a Monaco di Baviera nella sciagurata finale di Champions contro il Marsiglia.

E quei tifosi che in quella fredda serata, dopo la partita con il Goteborg, uscivano felici e festanti da San Siro parlando della partita, non potevano immaginare di aver visto il canto del cigno.

Federico Buffa lo ha definito “Un pittore fiammingo di nome Marcello da Utrecht” e Van Basten proprio quella sera aveva scelto il portiere avversario come tela e i suoi piedi come tavolozza. Di rigore, di forza, di classe e il portiere avversario è stato travolto dai maestosi colori dipinti dal numero nove rossonero.

Marco decide che la sua ultima pennellata non può essere di un colore banale, il cross di Eranio un po’ teso e tanto invitante per non dare l’ultimo colpo di pennello, perché quel traversone giunge puntuale all’appuntamento con il ragazzo olandese.

E lui puntando le sue gambe verso il cielo, con il collo destro spinge in rovesciata il pallone verso la porta svedese. Gol sotto la curva, sotto il cielo di San Siro che era diventata la sua casa.

“No, non potrò davvero più tornare a giocare a calcio. Voglio solo tornare ad avere la camminata normale che hanno tutti.” (M. Van Basten)

Il 18 agosto 1995 Marco pone fine alla sua carriera, ed in quel famoso giro di campo in borghese per salutare i suoi tifosi scorrono molte lacrime amare, uno dei fuoriclasse più puri smette di giocare per una caviglia malconcia, quella sera Adriano Galliani commenta in modo triste così l’addio di Van Basten “Il calcio perde il suo Leonardo da Vinci”.

“Quando un giocatore smette, diventa sempre il migliore io ho giocato tante partite, ho sbagliato gol clamorosi. Mi dite che sono stato il più grande, ma la verità è che ho fatto parte di una squadra imbottita di campioni.” (M. Van Basten)

Si chiude così la carriera del pittore fiammingo, per riprendere la citazione di Federico Buffa, una carriera fatta di gol, gioie, infortuni e successi. Un fuoriclasse assoluto ed in quella partita contro il Goteborg c’è tutta l’essenza di Van Basten calciatore, breve e meraviglioso è stato il tempo di Marco sui campi da calcio, indimenticabile come il più riuscito dei quadri.

“A Milano mi sentivo come se fossi parte della famiglia. Insieme abbiamo vissuto una vita intera. Mi avete visto nascere, come giocatore e come uomo. Mi avete visto crescere. E purtroppo avete visto anche la mia fine” (M. Van Basten).


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