Zvonimir, “segno di Dio”, un nome che allo stesso tempo può essere fardello e responsabilità: riferendoci a Boban, ci sentiamo di barrare B.
Zvonimir "Zorro" Boban sa bene infatti cosa sia la responsabilità, in termini filosofici il rispondere delle proprie azioni. La responsabilità ad esempio di esordire a 16 anni in prima squadra, la Dinamo Zagabria, e di esserne il capitano a soli diciannove anni.
La responsabilità di diventare eroe nazionale in un giorno di maggio del 1990, quando sferra un calcio al poliziotto bosniaco Amhetovic mentre costui è intento a manganellare un tifoso croato prima di quella che sarebbe dovuta essere una partita di calcio, Dinamo Zagabria-Stella Rossa. Zagabria contro Belgrado, nei primi anni 90, tanto per contestualizzare.
Boban paga con sei mesi di sospensione ed è costretto a saltare i mondiali italiani, a proposito del rispondere delle proprie azioni. Ma cosa volete che siano i mondiali al cospetto di un ideale e dell’indipendenza di pensiero sempre mostrata da Zorro? Impossibile non reagire di fronte a un’ingiustizia simile, costi quel costi. Anche i mondiali.
Nell’estate del 1991 Boban passa al Milan per dieci miliardi di lire su esplicita richiesta di Fabio Capello. Il ragazzo ha talento da vendere, piede e visione di gioco sono sopraffini. E quella finta di corpo non si può marcare. Una danza diventata automatismo che lascia sulle gambe l’avversario, che pure se l’aspetta.
Tuttavia, il 442 e una maturazione tattica e fisica ancora da completare spingono il Milan a prestare il ragazzo al Bari. L’estate successiva Zorro rientra alla base come un giocatore fatto e finito. Sono gli anni d'oro di Capello, degli scudetti e delle finali di Champions consecutivi. Proprio la Champions del 1994 vede Zorro grande protagonista, con il gol-vittoria segnato nel recupero a Parigi nella semifinale di andata e la grande prestazione, da esterno di centrocampo, nella finale di Atene contro il Barcellona.
4-0, per Boban tanta corsa, qualità, sacrificio, dribbling. Un 10 che fa il centrocampista con tutti gli oneri che ne conseguono.
La favola più bella, per certi versi diventata incubo, si consuma invece ai mondiali di Francia 98. La Croazia è decisamente la sorpresa del torneo e la squadra che gioca il miglior calcio. Boban è un predicatore di calcio in mezzo al campo, numero 10 e maglia sempre fuori dai pantaloncini (altro marchio di fabbrica).
La corsa dei croati si interrompe in semifinale, contro i padroni di casa della Francia, e sarà proprio Zorro a perdere banalmente il pallone dal quale scaturisce il pari di Thuram.
Un groppo non ancora mandato giù.
Nel Milan cede 10 e testimone a Rui Costa, nel 2001.
Prima di allora, nella stagione 1998/99, fa in tempo a scrivere l’ultima pagina da protagonista in rossonero.
Dopo mesi di dissidi con Zaccheroni, che spesso lo mette fuori perché incompatibile con il suo 343, Boban si prende la scena nelle ultime sette partite. Collocato dietro le punte in un 343 diventato 3412, Zorro fa la differenza ed è decisamente l’uomo-chiave nella corsa scudetto.
Calciatore sublime eppure Boban è stimato principalmente per la levatura morale dell’uomo, riconosciuta da tutti. Un’autonomia di pensiero che ha pagato anche a caro prezzo - l’ultima esperienza da dirigente al Milan ne è prova, se vogliamo - ma che non può essere barattata in alcun modo. Come per i grandi pensatori e personaggi storici (disciplina in cui peraltro Boban si è laureato): la libertà di pensiero, unico valore che non si può abiurare di fronte a nulla.
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