Il pallone che rotola oggi è quello a losanghe colorate della stagione 1983-84. Un ragazzino di 12 anni per la prima volta vede dal vivo la Juventus, molto più della capolista, la squadra della famiglia Agnelli, la massima espressione del potere calcistico (e non solo) con tutti i campioni del mondo di Spagna 82 oltre a Boniek e a “Le roi” Michel Platini.
Con grande emozione mi avvicino all’ evento sentendo i racconti dei “vecchi” tifosi (di internet non si parlava all’ epoca nemmeno nel film cult del momento “Ritorno al futuro”) riguardo alle ingiustizie da sempre perpetrate ai nostri danni da parte della Juve. Arbitraggi scandalosi che ci avrebbero privato di meritati scudetti - nei primi Anni 70 soprattutto -, le denunce di Gianni Rivera con conseguente squalifica record e molto altro ancora. L’arbitro Concetto Lo Bello fu spesso l’esecutore materiale di questi misfatti (si veda al riguardo il libro di Sergio Taccone “Chiarugi non era in fuorigioco” n.d.r.) e per ironia della sorte sarebbe stato proprio suo figlio Rosario a dirigere la gara di San Siro.
Tre ore prima dell’inizio sono già seduto sui freddi gradoni di cemento per assicurarmi una buona visuale in un’atmosfera a dir poco elettrica. Nella Sud sventola la bandiera dell’Amburgo a ricordare la recente sconfitta bianconera in finale di Coppa dei Campioni, alcuni riescono ad entrare in campo ad esporre uno striscione gravemente offensivo e una violenta carica dei tifosi milanisti provoca il fuggi fuggi di diversi juventini.
Dopo questo prepartita particolarmente movimentato, le squadre scendono in campo e l’inizio è altrettanto scoppiettante. Già al secondo minuto Scirea intercetta con il braccio largo un tiro di Evani: è chiaramente calcio rigore ma l’imperturbabile Lo Bello fa segno di proseguire. Mentre ancora tutti protestano, Oscar Damiani in un raptus di follia reagisce con un pugno a un fallo di Cabrini. Espulsione questa volta sacrosanta e la partita può dirsi finita.
In un minuto si passa dal probabile 1-0 all’impresa impossibile di giocare in 10 l’intero incontro contro una delle squadre più forti d’Europa.
Intorno al ventesimo, Platini porta in vantaggio i bianconeri ma poi, per quegli strani misteri del calcio, è il Milan a fare la partita trascinato da un Franco Baresi semplicemente straordinario (le cronache sportive del giorno dopo parleranno di un "impareggiabile condottiero"). Dopo un’ora di gioco infatti il punteggio è sorprendentemente ancora fermo sullo 0-1 quando il belga Gerets si incunea in area e viene abbattuto dal ruvido Brio. Anche questa volta però Lo Bello non concede il sacrosanto rigore e lo stadio ribolle di una rabbia ancestrale: dalla curva piove di tutto costringendo l’arbitro a una breve sospensione della partita. Alla ripresa la Juve va in gol per due volte in contropiede con Rossi e Vignola.
Finisce così, un bugiardo 0-3 e la convinzione di avere assistito a una “non partita” in cui ancora una volta aveva vinto il “Potere” di cui Lo Bello con il suo ghigno beffardo, era stato il braccio armato, “Non è giusto” mi dicevo sulla via del ritorno a casa con gli occhi lucidi, “non è giusto”. Non lo sapevo ma la catarsi sarebbe arrivata, molti anni più tardi in una grigia cittadina inglese. Quel 28 maggio del 2003 verso il dischetto dell’Old Trafford di Manchester insieme a Sheva avrebbero camminato il Paron Rocco, Gianni Rivera e Franco Baresi.
In quel pallone alle spalle di Buffon la Giustizia avrebbe vendicato mezzo secolo di storia e quella coppa alzata da Maldini nel cielo di Inghilterra avrebbe inflitto alla Juventus la più grande delle delusioni.
Prosit
Commentaires