di Massimo Volpato
Una partita così storica, attesa, importante è diventata il ricordo più bello di qualcuno e l’incubo peggiore della vita di qualcun altro. Perché della partita che stiamo parlando non è una partita come le altre, è una finale di Champions League. Una finale tutta italiana: Milan – Juventus.
Quando in quella serata di fine maggio Milan e Juventus scendono in campo, l’Old Trafford parla italiano, riusciamo a leggere gli striscioni, cori che possiamo capire e cantare.
Nonostante l’assenza di Nedved la Juventus è favorita nei pronostici quella sera: il campionato è stato vinto dei bianconeri, con il Milan terzo classificato, ma il dna Champions è pronto a fare la differenza. Il Milan parte forte, l’arbitro annulla subito un gol di Shevchenko, la Juve recrimina nel secondo tempo per una traversa di Conte. Nesta salva sulla linea su Ferrara e Maldini sfiora il gol di testa dall’altra parte del campo, poi ci sono i supplementari e i rigori.
Del Piero segna il suo rigore, sicuro, deciso, senza esitazioni, è l’ultimo rigore, quello affidato agli uomini più rappresentativi. Gli eroi designati sono pronti a prendersi la responsabilità del tiro più importante, quello che può cambiare una carriera. Le telecamere incrociano gli occhi di Sheva, sono occhi freddi, lucidi, concentrati sull’obiettivo.
L’ucraino sa già cosa deve fare, e noi guardando quegli occhi sapevamo già che è l’ultimo. Il numero sette in maglia bianca guarda una volta a destra, una volta a sinistra, parte calcia e spiazza Buffon, portiere a sinistra pallone a destra.
Il Milan è campione d’Europa, il giocatore ucraino corre ad abbracciare Nelson Dida, l’altro eroe dei rigori.
Carlo Ancelotti corre in campo, a braccia larghe, lui che è stato cacciato dalla Juventus perché non ritenuto all’altezza della panchina bianconera.
Paolo Maldini alza la coppa sotto una festa di coriandoli rossoneri, e consegna questa immagine alla storia, la vittoria del Milan certo, ma sìanche il fascino di un’impresa italiana difficilmente ripetibile.
La notte di Manchester non conosce mezze misure c’è chi la ricorda come un sogno, chi come un incubo. Per noi rossoneri è un sogno.
Ma il 28 maggio è una giornata dolce non solo per Manchester, ma anche per Madrid, perché nel 1969 il Milan nello stesso giorno alza la sua seconda coppa Campioni, batte 4-1 la squadra che per gli anni successivi è la dominatrice assoluta: l’Ajax.
Sulla panchina rossonera è tornato a sedersi Nereo Rocco, dopo la parentesi granata e ha subito ritrovato il feeling con la vittoria. L’anno precedente vince la Coppa delle Coppe e il campionato e la stagione seguente con lo scudetto sul petto ritorna in finale di Coppa Europa.
Il tandem d’attacco formato da Prati e Rivera è il puto di forza di quella squadra, sostenuti a centrocampo da Trapattoni e Lodetti. Tra i lancieri si presenta nel grande palcoscenico l’astro nascente olandese, Johan Cruijff, ma al “Bernabeu” è decisamente la notte di Pierino Prati: l’attaccante del Milan è armato da Gianni Rivera e segna tre gol in tutti i modi, di testa, di furbizia, di precisione.
La squadra di Rocco dà spettacolo per tutto il primo tempo, i rossoneri sono già in vantaggio dopo 7 minuti con Prati, Rivera in quella partita è immenso, si accentra, con calma aspetta la sovrapposizione di Prati, lo serve con un colpo di tacco e il numero 11 rossonero da 20 metri fa partire un gran tiro, potente e preciso che s’infila nell’angolino:2-0.
Nella ripresa il Milan parte un po’ sottotono, forse per la netta superiorità dimostrata nella prima frazione, e per questo subisce il gol degli avversari su calcio di rigore. L’episodio serve da sveglia ai rossoneri che ripartono a macinare gioco e solo dopo 5 minuti vanno in gol con Sormani. Ma c’è ancora spazio per il talento puro del numero dieci: Rivera scambia con Prati in mezzo al campo e con la difesa olandese altissima si dirige verso la porta da solo, fa partire una palombella perfetta che ha un appuntamento con la testa di Prati che mette dentro facilmente per il definitivo 4-1.
Le notti del 28 maggio resteranno per sempre nella memoria dei tifosi rossoneri, quelli più vecchi e per quelli più giovani, perché sono due partite molto diverse tra loro, ma con due vittorie molto simili.
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